Oggi in Roma era giorno politurgico, giacché delle quattro messe in onore del Battista recensite nel Leoniano, la terza reca appunto il titolo: Ad fontem. È segno dunque che le altre erano celebrate nella grande basilica del Salvatore ed in qualche altro santuario urbano intitolato a san Giovanni, – papa Simmaco ne aveva eretto uno anche presso il battistero Vaticano – e che solo la terza messa era offerta nell’oratorio Lateranense costruito da papa Ilaro “Ad fontem“.
Di questa primitiva ricchezza della liturgia romana, il Sacramentario Gregoriano conserva pur egli una traccia. Oltre la messa notturna, vi sono le collette tanto “in prima missa“, che per una seconda, che verisimilmente era la stazionale, celebrata nell’aula del Salvatore.
Anche ai vesperi ricorre lo stesso ordinamento. Dopo l’ufficio compiuto nella grande basilica Lateranense, il clero si muoveva processionalmente a celebrarne come il dì di Pasqua, uno più breve “ad fontes“, e di cui il Gregoriano ci conserva parimenti la colletta finale.
Nessuno si maraviglierà di questa magnificenza d’antica devozione verso il Battista, quando si rifletta al posto eminente che Giovanni occupa nella storia stessa della divina Incarnazione. La sua bolla di canonizzazione la si trova nell’elogio che di lui fece lo stesso Verbo di Dio fatto uomo, quando lo indicò alle turbe siccome il più grande tra tutti i profeti e i nati di donna, il nuovo Elia, la lucerna ardente e risplendente.
La liturgia quindi si applicò in modo speciale a celebrare la gloria particolare di Giovanni, il “maior inter natos mulieris“. Perciò, mentre degli altri Santi si celebrava il giorno obituale, del Battista invece si volle festeggiato il giorno stesso della nascita, siccome quella che avvenne negli splendori dei carismi del Paraclito.
Argomento di quest’intensa devozione professata, soprattutto in antico, a san Giovanni in Roma, sono le numerose chiese a lui dedicate. Se ne contano almeno una ventina. Ben ventitré Papi vollero da lui prendere il nome; anzi, la stessa basilica Lateranense nell’uso comune sanzionato già dal Messale, la si denomina senz’altro: san Giovanni in Laterano.
Il culto di san Giovanni Battista trovò i suoi più fervidi propagatori fra i monaci, che nella vita austera trascorsa dal Precursore nei deserti, riconoscevano siccome una specie di preludio dell’istituto monastico. Il Patriarca san Benedetto gli eresse sul monte Cassino un tempio, nel quale egli stesso volle esser sepolto. Anche a Farfa, il santo vescovo siro Lorenzo che fondò nel V secolo quella famosa badia, ne consacrò la basilica in onore della Vergine e dei due Giovanni, il Battista cioè e l’Evangelista. A Subiaco similmente, tra i dodici cenobi eretti da san Benedetto, uno venne poi denominato dal Precursore di Cristo.
La questione della precedenza accordata a san Giovanni su san Giuseppe nelle litanie dei Santi, venne già trattata da Benedetto XIV. L’introduzione dell’invocazione di san Giuseppe nella prece litanica è relativamente recente, e quando vi fu inserita, non si giudicò opportuno di risolvere in qual senso vada inteso quel passo del Vangelo, che Giovanni sia il maior inter natos mulierum. Giovanni da lunghi secoli era in pacifico possesso di quel primo posto nella lunga teoria litanica dei Santi; egli inoltre era martire. Per non compromettere quindi nulla, san Giuseppe fu posto in mezzo tra il Battista e san Pietro.
Oggi però che la devozione al Patriarca san Giuseppe ha irradiato tanta luce sulla sua figura, è meno difficile di risolvere la questione, nel senso, del resto già accennato dalla liturgia, quando anteponeva Giuseppe al coro degli Apostoli. Dal contesto del Vangelo apparisce, che il primato accordato a Giovanni va inteso della sua missione profetica e messianica. Egli è al vertice della piramide dei Patriarchi, dei profeti e dei Santi che annunziano e preparano il nuovo Testamento. Come Giovanni li sorpassa tutti in dignità, così li vince ancora in santità, giacché venne santificato nel seno stesso materno.
San Giuseppe invece fa parte d’un altro sistema e d’un altro quadro. Egli non entra, a dir così, a parte della teoria di Patriarchi che muove incontro al Messia, non ha una missione profetica in servizio del Cristo; ma entra invece nello stesso piano della sua santa incarnazione, siccome il vero sposo di Maria e il depositario a nome dell’Eterno Padre della patria potestas sul fanciullo Gesù. È Giuseppe, figlio di David, che col suo connubio verginale con Maria introduce e presenta onoratamente al mondo Gesù, siccome il legittimo erede delle promesse messianiche fatte appunto a David e ad Abramo.
La trascendenza di Maria e di Giuseppe non detraggono quindi nulla alla gloria di Giovanni, proclamato dal Redentore stesso siccome il più grande tra tutti i Profeti e i nati di donna. Onde anche la sacra liturgia, così presso la culla del Precursore che nella prigione di Macherunte, intona in sua lode i propri cantici trionfali.
Gli inni bellissimi assegnati oggi nel Breviario, sono di Paolo Diacono, monaco Cassinese, il quale li compose appunto per la festa titolare della chiesa di Monte Cassino. Circa quattro secoli più tardi, un altro monaco, Guido da Arezzo, dai toni ascendenti dei primi emistichi dell’inno di san Giovanni ai vesperi, derivò i nomi della scala musicale.
Ut queant laxis – Resonare fibris
Mira gestorum – Famuli tuorum
Solve polluti – Labii reatum,
Sancte Iohannes.
(A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – VII. I Santi nel mistero della redenzione [Le feste dei Santi dalla Quaresima all’Ottava del Principe degli Apostoli], Torino-Roma, Marietti, 1930, pp. 272-274)