Udine, continuano le persecuzioni alla memoria di don Siro Cisilino

SEDE VACANTE

 

Il fatto: il requiem in suffragio di don Siro Cisilino (morto il 4 marzo 1987) quest’anno non si è potuto celebrare nella parrocchiale di S. Stefano a Blessano (Udine) – dove il defunto era stato per molti anni vicario – . Ha detto no il nuovo parroco di Basiliano, e Blessano, don Dino Bressan.

Dal 1987 tutti gli anni una messa di requiem in rito tridentino – per il trigesimo e tutti gli anniversari – è stata fatta cantare da Una Voce nei luoghi ove don Siro era nato e aveva esercitato il suo ministero, da parecchi anni la funzione aveva luogo a Blessano. L’intenzione era ed è quella del cristiano suffragio, in particolare con la messa tridentina, chiesta dal Defunto per le esequie nelle sue ultime volontà che non erano state rispettate.

Don Bressan fino all’anno scorso è stato rettore del Seminario Interdiocesano di Udine. È la sua avversione ideologica contro la messa tradizionale che lo induce a non applicare il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI? o c’è anche quella contro la figura tradizionale del prete, quale era e restò anche nel postconcilio don Siro Cisilino?

Sulla persecuzione che c’era riproduciamo qui una recensione – pubblicata sul bollettino nazionale di Una Voce Italia n° 91-92 del 1990 – al volume di mons. Emidio Goi, allora rettore del Seminario di Udine, predecessore di don Dino Bressan, contenente una “commemorazione” di don Cisilino offensiva della sua memoria. L’odio continua?

 

Mons. EMIDIO GOI, “L’assemblea ne proclama le lodi” (Sir. 44, 15b). Profili biografici dei presbiteri defunti dell’Arcidiocesi di Udine. 1985-1989, Agraf, Udine 1989.

Paolo Zolli, illustrando la figura di don Siro Cisilino e la sua battaglia per la liturgia tradizionale, affermava anni fa su queste colonne che bisogna “iniziare sin d’ora a raccogliere í materiali per un futuro martirologio di quel clero cattolico che intendeva rimanere fedele all’antica liturgia ed è per questo diventato oggetto di indebite pressioni e persecuzioni che rimarranno a perpetua vergogna di chi le ha perpetrate” (Don Siro Cisilino (1903-1987) e la Messa “tridentina” a Venezia, in «Una Voce Notiziario», 79-80, 1987, p. 9 vedi qui). Ancora oggi –  pur dopo il Motu proprio Ecclesia Dei con le sue dichiarazioni e le sue promesse – simili “materiali” son ben lungi dall’appartenere a un passato da consegnare alla storia: oggi come ieri la persecuzione continua persino nella forma più vile e odiosa, quella della denigrazione post mortem.

Ci vorrebbe la penna di Zolli, la sua critica e la sua inventiva, per scrivere quanto va scritto della indecorosa pubblicazione che qui segnaliamo di recente apparsa per festeggiare il trentesimo di sacerdozio e il decimo di rettorato del rettore del Seminario arcivescovile di Udine Mons. Emidio Goi. Si tratta di una raccolta contenente le commemorazioni dei sacerdoti defunti tenute dall’A. davanti all’assemblea del clero diocesano. Ebbene, ecco che cosa si legge tra l’altro nella sedicente commemorazione di don Siro Cisilino (tenuta in Seminario nell’ottobre 1987):

L’arcivescovo ai funerali di don Siro a Pantianicco procurando di obbedire al suo testamento che domandava la Messa secondo il rito tridentino ha fatto un miscuglio di latino e di italiano così da indignare i lefevriani di casa nostra e non i soli che in massa erano accorso (sic!) ai funerali di don Cisilino, forse non tanto per la settima opera di Misericordo (sic!) corporale “seppellire i morti” quanto per assistere a una prelibata celebrazione tutta in Latino, secondo il vecchio rito e per di più presieduto (sic!) dall’Arcivescovo. Ma l’attesa è stata delusa. Come ha deluso “credo” molti l’ostinata perseveranza di don Siro a combattere la riforma liturgica voluta dal Concilio Vat. II, nella quale lotta egli ha profuso volontà e intelligenza che meritavano spese per obiettivi più nobili e degni (p. 28).

Questo scampolo di squinternata prosa è davvero un tipico esempio – nella forma e nella sostanza – di nuova “oratoria sacra”, offerto dal rettore ai (per fortuna) pochissimi studenti di teologia del nuovo Seminario di Udine, di cui esprime in pieno lo spirito: un coacervo di inesattezze, di contraddizioni, di faziosa malignità. Si lasci pure da parte il vero e proprio giudizio temerario disinvoltamente espresso sulle pretese intenzioni degli amici di don Siro, come lui fedeli alla liturgia antica, presenti alle esequie, e che vengono gratificati del solito spregio riservato a chi rifiuti di vendersi l’anima al modernismo (ad avviso di chi scrive peraltro da certa gente sarebbe un’onta ricevere approvazione). Ma un dato di fatto va riaffermato con estrema chiarezza: come riferì a suo tempo Zolli (Don Siro, cit., p. 11), all’arcivescovo di Udine fu chiesto dallo stesso Zolli e dal presidente di Una Voce-Venezia (telegramma in tal senso fu inviato anche dal presidente di Una Voce-Udine) che fosse rispettata l’ultima volontà di don Cisilino: i suoi funerali si celebrassero col rito tradizionale o altrimenti con la sola benedizione senza Messa. Nessuno invece aveva mai pensato di chiedere (e tanto meno don Siro, il quale a queste cose notoriamente non teneva) che a officiarli fosse l’arcivescovo in persona con celebrazione più o meno “prelibata”. Quindi proprio nessuna presunta “attesa” in tal senso è stata delusa, e la becera soddisfazione espressa dal Goi non può che esplicarsi semmai sulla delusione di coloro che si aspettavano rispetto e pietà per l’ultimo legittimo desiderio di un santo sacerdote (evidentemente al Seminario udinese anche questa pietà, questo rispetto sono considerati roba vecchia, preconciliare…).

È poi davvero sorprendente come il Goi non si vergogni di dichiarare che quanto egli stesso chiama “un miscuglio di latino e di italiano” sia stato fatto “procurando di obbedire al … testamento” di don Cisilino. Quella concelebrata alle esequie – per i particolari rinviamo allo scritto di Zolli (ult. l. c.) – fu una Messa riformata e per di più abusiva, in seguito a illegittima commistione di riti. Quindi non si obbedì né all’una né all’altra delle alternative richieste dal defunto: è più che evidente la contraddizione rispetto alla realtà, in cui piomba il rettore; ma tant’è, con simile “logica” si suole ragionare oggi al Seminario di Udine. È bene ribadirlo con forza: non vi è il minimo dubbio che le disposizioni mortis causa di don Siro Cisilino sono state violate senza attenuanti; non si “volle rispettare la volontà e il desiderio del vecchio sacerdote che con la sua fede e la sua cultura aveva costituito uno dei vanti del Friuli cattolico” (ZOLLI, ult. l. c.). E si trattò di una violazione del tutto gratuita, in quanto entrambe le alternative richieste erano liberamente praticabili ai sensi della vigente normativa liturgica. La difesa d’ufficio del Goi è patetica e controproducente; e del tutto inopportuna questa sua pubblicazione a distanza di anni dai fatti, che non fa altro se non richiamare penosamente l’attenzione su di un episodio che l’Ordinario udinese avrebbe tutto l’interesse a far dimenticare.

Ma ciò che nella pretesa “commemorazione” vi è di più grave è la spudorata denigrazione di don Cisilino, ennesimo oltraggio e vergogna che si aggiunge ai precedenti: doveva “perseguire obiettivi più nobili e degni”; il suo agire “ha provocato turbamento in molti” (qui è colto un aspetto di verità, se per “molti” si intendono i preti carrieristi e à la page); ovviamente era “ostinato”, “testardo” e “visse sempre senza la radio e la televisione”, quasi fosse un demerito o una tara ereditaria (invece i seminaristi udinesi con la televisione convivono spesso e volentieri …). Si aggiunga il tentativo di ridimensionare la sua grandezza come musicologo, peraltro con argomenti che, non entrando nel merito della dimostrazione di quanto affermano, non vanno oltre il livello del sentito dire e del pettegolezzo. Sembra che il Goi cerchi in ogni modo far dimenticare che don Cisilino aveva idee ben chiare e ben motivati giudizi sulla attuale situazione della Chiesa e della liturgia. Queste idee, questi giudizi, tutto il suo atteggiamento erano fondati come su di una roccia sui principi immutabili della religione cattolica, che egli aveva appreso da giovine chierico: per tutta la vita don Siro, con piena lucidità e assoluta coerenza, mantenne inalterati gli ideali della propria vocazione sacerdotale.

Ora è chiaro che tanta nobile fermezza non poteva non attirare la persecuzione in vita e in morte da parte di chi di coerenza non ne ha alcuna, essendosi posto nella mandria del modernismo alla moda, dimenticando e tradendo la fede cattolica. Oggi i responsabili del Seminario di Udine, peggio che altrove, hanno lasciato cadere totalmente i principi e i valori del passato, anche quelli immutabili. L’istituto è nelle mani di mons. Rinaldo Fabris, famigerato esegeta razionalista firmatario della lettera dei 63 contro il Papa, il quale, con la negazione della storicità dei Vangeli, del soprannaturale, dei miracoli, della stessa risurrezione di N.S. Gesù Cristo, con il suo pacifismo demenziale, riscrivendosi la Bibbia a proprio talento per riproporre ogni sorta di errori condannati dalla Chiesa, vi propaga a piene mani quello che non a torto è stato chiamato “il cristianesimo della disperazione” (cfr. AA.VV., Eutanasia del cattolicesimo? Considerazioni sul “nuovo cristianesimo” gnostico di Rinaldo Fabris, Napoli 1990). Dal punto di vista liturgico poi vi regna l’abuso e il degrado più totale: è noto per esempio che anche prima della recente concessione vi si dava regolarmente ai seminaristi la Comunione nella mano, anzi essa era ed è in pratica obbligatoria. A tutto ciò naturalmente anche il rettore Goi non può che tener mano. Ciò spiega ancor meglio i motivi dello scomposto attacco contro don Cisilino: nell’introduzione del libretto si dice apertamente che il Seminario di ieri, “quel tipo di Seminario da cui sono usciti i sacerdoti di questi medaglioni … è morto, è defunto” (p. 5), ma sarebbe più esatto dire “assassinato”. Ora è ben chiaro che la faziosità di coloro che hanno distrutto e tradito quel Seminario tradizionale, da cui fino a qualche decennio fa decine di giovani friulani ogni anno uscivano sacerdoti seguendo un ideale così sublime da superare gravissime difficoltà, non può che cercare di screditare in ogni modo chiunque a quell’ideale fosse tuttora rimasto fedele. E don Siro era l’esempio della fedeltà assoluta.

Peraltro se ne ha piena conferma leggendo il resto dell’opuscolo, ove mentre vengono esaltati con mirabolanti panegirici preti friulanisti e politicanti, tra l’altro per aver celebrato e promosso illecitamente la c.d. Messa in friulano non ammessa dalla S. Sede (pp. 24s. e 26ss.), la denigrazione post mortem resta la regola per chi non si fosse sufficientemente adeguato al nuovo corso. Si legge per esempio l’ignobile attacco – ci manca l’animo di continuare a usare il termine ipocrita “commemorazione” – portato contro il compositore mons. Vittorio Toniutti (1900-1987), che anch’egli continuò a celebrare la Messa tradizionale criticando le decadenza liturgica, fatto oggetto dello scherno del Goi perché colpevole di aver detto la seguente sacrosanta verità: “l’altare voltato verso il popolo è il segno evidente del capovolgimento della Chiesa” (p. 35).

Preferiamo non andare oltre in una rassegna fin troppo nauseabonda, ma non si può passare sotto silenzio quanto di più incredibile compare nel libello, una vergognosa offesa alla Sede apostolica e al Santo Padre. Si legge infatti alle pp. 51 s. la testuale affermazione del Goi: “Dio ci liberi da visitatori apostolici con pieni poteri” (!). Ecco dunque come si prega al Seminario di Udine, ed è ben comprensibile, poiché se i visitatori che si sono succeduti negli ultimi tempi avessero avuto pieni poteri, e li avessero usati, dell’attuale istituto e di chi lo dirige sarebbe rimasto ben poco. Certo esternare certe cose a mezzo stampa …, ma almeno così tutti possono toccare con mano chi siano i detrattori di don Siro Cisilino.

Avremmo fatto volentieri a meno di aggiungere che purtroppo questo libello oltraggioso per i defunti è una pubblicazione apertamente approvata e lodata dall’arcivescovo di Udine mons. Alfredo Battisti: infatti in una sua lettera posta quale prefazione il Presule si esprime come segue: “Lodo la decisione di stampare i profili dei sacerdoti friulani defunti, tracciati con finezza e brio da mons. Emidio Goi a partire dal 1985” (p. 3). Che dire davanti a tanto brio, a tanta decantata finezza? Che noi speriamo di vedere finalmente il giorno in cui i persecutori interessati di don Siro saranno messi a tacere …

Fabio Marino

Cfr. «Una Voce Notiziario», 91-92 (1990), pp. 21-23.

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