Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 19-20-21
[Lumi – Tovaglie]
XIX. Ciò che abbia scritto il Vert dei Lumi, l’abbiamo esposto altrove, e ne abbiamo comprovata l’insussistenza. Il Micrologo al cap. 11 così parla di questo rito: “iuxta romanum ordinem nunquam missam absque lumine celebramus, non utique ad depelledas tenebras”, come volle il Vert, “cum sit clara dies, sed potius in typum illius luminis, cuius sacramenta ibi conficimus, sine quo et in meridie palpamus sicut in nocte”. Sopra questa materia si possono leggere il cardinal Bellarmino al lib. 2 De missa cap. 14, il cardinal Bona al lib. 1 Rer. Liturgic. cap. 25 num. 7, il P. Natale Alessandro nel lib. 2 De sacramento eucharistiae al cap. 7 art. 2, il Merbesio nella Somma cristiana alla 3ª part. quest. 51 § Cereorum usum, il P. Le-Brun nel tom. 1 pag. 66 e seguenti, il Pouget nel tomo 2 delle Istituzioni cattoliche pag. 711 e seguenti, il Boucat nella Teologia Patrum al tom. 5, 4ª part. dissert. 2, § 4, e la Conferenza 16 di Luçon al tom. 5 pag. 547 e seguenti. E secondo Innocenzo III i due candelieri che hanno in mezzo la croce, ci additano il popolo cristiano ed il popolo ebreo.
XX. Antico pure è il costume delle tovaglie sopra gli altari; onde Ottato Milevitano nel cit. lib. 6 cosi scrive: “quis fidelium nescit, in peragendis mysteriis ipsa ligna”, cioè gli altari che erano di legno nell’Africa, “linteamine operiri? Inter ipsa sacramenta velamen potuit tangi, non lignum”; e Vittore Uticense nel lib. 1 della Persecuzione africana riferisce che un certo Procolo mandato contro i cattolici dall’empio Genserico, con mano rapace devastò tutto, e delle tovaglie dell’altare si fece camiscie e brache. Ed in un concilio di Rems allegato da Ivone nella 2ª part. del Decreto al cap. 132 così viene stabilito: “ut mensa Christi, id est altare, ubi corpus dominicum consecratur, ubi sanguis eius hauritur, ubi sanctorum reliquiae reconduntur, ubi preces et vota populi in conspectu Dei a sacerdote offeruntur, cum omni veneratione honoretur, et mundissimis linteis et pallis diligentissime cooperiatur, nihilque super eo ponatur, nisi capsae cum sanctorum reliquiis, et quattuor evangelia”. Queste tovaglie debbono esser tre, come si deduce dall’antico canone: si per negligentiam, de consecrat. alla dist. 4 ove s’impone una grave pena a chi versa il sangue di Cristo che è nel calice, e si prescrive ciò che dee farsi se arriva alla quarta tovaglia, valutandosi per prima tovaglia il corporale, sotto cui sono le altre tre tovaglie dell’altare. Sindoni sono chiamate queste tovaglie negli atti della Chiesa di Milano; e substratorium vien detta la tovaglia dell’altare sopra cui si stende il corporale. Stefano vescovo eduense De sacramento altaris al cap. 5 ove parla dei diaconi, così scrive: “horum est ministerium epistolam legere, leviticis ministrare, altaria componere, substratoria, pallas, corporalia lavare”. E leggendosi in alcuni codici del libro pontificale nella Vita d’Ormisda che regalò “clamidem imperialem et subsutorium sub confessione beati Petri apostoli”, il Du Cange nel suo Glossario alla parola substratorium dice non doversi leggere subsutorium, ma bensì substratorium.
XXI. Del cereo che si deve accendere quando si alza l’ostia, e della campanella che si suona nella detta occasione, parleremo altrove. Non vi è cosa veruna dì particolare circa il palio ed il fazzoletto, o sia manutergio. La tabella delle secrete è stata introdotta per maggior comodità; come pure per maggior comodità è stata introdotta l’altra tavoletta, in cui è scritto il vangelo di s. Giovanni. Del cuscino, dice Innocenzo III al lib. 2 cap. 41, che addita “ministranda esse temporalia praedicanti verbum Dei”; e nel pontificale è la formola della benedizione delle tovaglie e degli ornamenti dell’altare nel tit. De altaris consecratione.
Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo Sacrifizio della messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 20-21.