(Lettera Napoletana) – Don Roberto Spataro S.D.B., segretario della Pontificia Academia Latinitatis, e docente all’Università Pontificia Salesiana, ha celebrato il 27 luglio scorso a Bacoli (Napoli), nella Parrocchia di S. Anna Gesù e Maria, una Messa in rito romano antico su invito della sezione di Napoli di Una Voce, alla presenza di oltre 100 fedeli. Latinista, docente di letteratura cristiana, don Spataro è un difensore della liturgia tradizionale ed ha tenuto conferenze sul rito tridentino. LETTERA NAPOLETANA gli ha rivolto alcune domande.
D. Ritiene che la Messa in rito romano antico sia una risposta, per i fedeli che vi partecipano, alla perdita del senso del sacro nella nostra società?
R. Sono d’accordo. Nel mondo occidentale, com’è sotto gli occhi di tutti, il processo di secolarizzazione è drammaticamente sempre più aggressivo ed invadente. Pertanto, è necessario offrire spazi ove il “sacro”, cioè la presenza oggettiva di Dio, sia comunicato e appreso, accolto e assimilato. La Messa «tridentina» privilegia un linguaggio, fatto di parole in una lingua riservata a Dio, e di eloquenti simboli, che coinvolgono tutti i sensi esterni ed interni dell’uomo, capace di trasmettere immediatamente ed efficacemente la bellezza e la potenza del “sacro”.
D. Come spiega il fatto che soprattutto nei Paesi anglosassoni, ma anche in Brasile, siano soprattutto i giovani ad essere attirati dal rito tradizionale?
R. Nei paesi anglosassoni c’è un fenomeno significativo: non sono pochi i giovani che da varie denominazioni protestanti aderiscono al Cattolicesimo e che amano la Messa «tridentina» in quanto in essa trovano ciò che, mossi dalla Grazia di Dio, cercavano: la natura sacrificale della Messa, il ruolo insostituibile del sacerdozio ordinato, la fede nella presenza reale e nella transustanziazione. Inoltre, percepiscono nella Messa tridentina una vera e propria summa della fede cattolica cui hanno dato la loro adesione con entusiasmo e, a volte, subendo ostacoli ed incomprensioni.
D. Per quanto riguarda il clero, si trovano molto più facilmente sacerdoti di 30-40 anni disposti a celebrare il rito tridentino che sacerdoti di 50-60. Come mai?
R. I sacerdoti che oggi hanno tra i 50 e i 70 anni sono stati formati negli anni del postconcilio quando vigeva un certo sospetto, se non una vera e propria ostilità, verso la Tradizione, e si ricercava, nella teologia e nella pastorale, un “novum” concepito ingenuamente come “bonum”. Sono pertanto psicologicamente bloccati verso ciò che ritengono un “ritorno al passato”. Nelle generazioni più giovani, soprattutto in quei seminaristi e giovani che hanno seguito con gioia l’insegnamento del Papa Benedetto XVI, questa precomprensione non c’è, poiché non hanno vissuto né gli anni del Concilio né i primi decenni ad esso successivi. Per alcuni di essi, la Tradizione è una risorsa, un “ritorno al futuro”, se mi è lecito l’ossimoro.
D. In una sua recente conferenza lei ha parlato di “minoranze creative” in riferimento ai gruppi di fedeli che si organizzano per chiedere ai parroci di celebrare con il Vetus Ordo ed ha ricordato che le riforme, anche liturgiche, sono partite a volte da piccole comunità monastiche.
R. Il concetto di “minoranza creativa” è stato valorizzato dall’allora cardinale Ratzinger per descrivere gruppi di persone che, con le loro motivazioni robuste, la loro testimonianza di vita, a volte con la loro organizzazione, e soprattutto con la loro adesione ad un pensiero “forte”, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, i “principi non negoziabili”, possono rigenerare dall’interno la società corrosa dalla “dittatura del relativismo”, un po’ come le antiche comunità monastiche hanno salvato e rinnovato creativamente la civiltà romana al suo tramonto. In fondo, quello di “minoranza creativa” è un concetto vicino alla categoria biblica del “piccolo resto”, quei pochi che, per la loro fedeltà a Dio, diventano strumento della sua azione redentrice. Anche nelle epoche più oscure della storia, Dio, nella sua Provvidenza, suscita sempre la presenza di persone pie e buone, umili e coraggiose.
D. Dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI pensa che il clima sia cambiato e che, almeno in Italia, la diffusione del rito romano antico avvenga con maggiore difficoltà?
R. Non sono in grado di stabilire una “classifica” nazionale delle resistenze al Motu Proprio. Certamente, membri del clero ed anche noti prelati in Italia non hanno nascosto la loro opposizione al Summorum Pontificum. Mi sia consentito affermare che, non poche volte, coloro che esprimono il loro dissenso riguardo alla Messa tridentina ne hanno una conoscenza approssimativa e contestano un documento pontificio senza averlo mai letto interamente!
D. Per i tanti cattolici disorientati dall’aggressione della cultura laicista e dalla desacralizzazione pensa che il ritorno della Messa tridentina sia una speranza?
R. Sicuramente! Attorno a questa nobile forma liturgica, realmente culmen et fons, fedeli laici e sacerdoti organizzano la propria vita spirituale. Vi attingono i tesori della Grazia divina e vi trovano, come posso constatare soprattutto tra i fedeli laici, un alimento robusto per corroborare la propria fede e dare una coraggiosa testimonianza, in un contesto che tende a marginalizzare il Cristianesimo e la sua incidenza sociale, con i risultati che hanno reso il mondo, proprio perché indifferente o ostile a Dio, meno umano e misericordioso, come ci ricorda il Papa Francesco. (LN79/14).
Cfr. «Lettera Napoletana», 79, 2014 www.editorialeilgiglio.it