Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 28
[Calice ministeriale]
XXVIII. E quanto finalmente alle varie sorta de’ calici, v’erano i calici detti del battesimo, ne’ quali a’ nuovi battezzati dopo la santa eucaristia sotto le specie del pane, si dava il sangue sotto le specie del vino. Vi erano pure i calici ministeriali che servivano per comunicare col sangue i fedeli che assistevano alla messa e che ristretta la comunione sotto le specie del vino ai soli sacerdoti, furono posti da parte. Il P. Mabillon nel tom. 2 del Museo italico nelle note al primo Ordine romano vuole che i calici ministeriali fossero anche chiamati scifi: onde alla parola “calicis” soggiugne: “idest calices ministeriales, qui alio nomine sciphi appellantur” e nelle Note al terzo Ordine romano a quelle parole “in maiorem calicem, sive sciphum”, dice, “sciphus, aut calix ministerialis”. Ma la buona memoria del signor Giustiniano Chiapponi, cerimoniere apostolico nella sua Dissertazione de oblationum mysteriis stampata dopo gli atti della canonizzazione di quattro santi fatta dal sommo pontefice Clemente XI alla pag. 287 pretende che lo scifo fosse, non il calice ministeriale, ma il calice maggiore, dal quale si rovesciava il sangue nei calici ministeriali per distribuirlo al popolo, come or ora vedremo. Giuseppe Visconti nel lib.6 De missae apparatu al cap. 12 cerca se nei calici ministeriali si consagrasse il vino e risponde di sì. Ma il Gorgi nel tom. 1 De liturgia romani pontificis al cap. 3 sostiene il contrario: mentre si consagrava il sangue nel calice offertorio, ed una parte del sangue rovesciavasi nel vino che era nel calice ministeriale; ed in questo modo si comunicava il popolo col sangue sotto le specie del vino: onde nell’Ordine romano secondo stampato dal Cassandro e dall’Itorpio e che il Panvinio pensa che fosse l’ordine Gelasiano emendato da s. Gregorio Magno, e ristampato nel Museo italico del P. Mabillon al tom. 2 pag. 56, leggesi che il pontefice comunicandosi nella messa, metteva parte dell’ostia nel calice, dicendo tre volte: “fiat commixtio et consecratio”, che dall’archidiacono se gli porgeva il calice e che dal calice si rovesciava porzione del sangue nell’altro calice che era il calice ministeriale: il che pure più chiaramente si conferma col terzo Ordine romano antico nello stesso tom. 2 del Museo alla pag. 59 ove così si legge: “sed ipse pontifex confirmatur ab archidiacono in calice sancto, de quo parum refundit archidiaconus in maiorem calicem sive in sciphum, quem tenet acolythus, ut ex eodem sacro vase confirmetur populus, quia vinum etiam non consecratum, sed sanguine Domini commixtum sactificatur per omnem modum”: essendo qui d’uopo l’avvertire che la distribuzione dell’eucaristia sotto le specie del pane chiamavasi “communio”, e la distribuzione della medesima sotto le specie del vino chiamavasi “confirmatio”, conforme si raccoglie nel quinto Ordine romano nel cit. tom. 2 del Museo d’Italia alla pag. 59, “clerus communionem ab episcopo accipiat, et ab episcopo confirmetur”. Oggidì gli armeni usano due calici nella messa, uno de’ quali serve come ai latini di patena, ponendo in uno il pane, e nell’altro il vino, come attesta il cardinal Bona nel cit. lib. 1 al cap. 25 num. 3 nel fine. Nell’accademia ecclesiastica sopra i concili che con tanto profitto una volta radunavasi nella gran sala del collegio de propaganda fide, ed alla quale ne’ primi anni della nostra gioventù con poco profitto, ma con molta diligenza per lo spazio di molti anni siamo intervenuti, monsignor Perrimezzi ancor vivente e degnissimo segretario dell’esame de’ vescovi nella sua Dissertazione quinta che recitò nella detta accademia e che poi si diede alle stampe, fra le altre sue dissertazioni alla part. 2² pag. 158 e seguenti trattò de’ calici ministeriali ed osservò che avevano certe maniche onde tener si potessero da’ ministri, quando con essi il divin sangue al popolo dispensavano, giusta l’Ordine romano, ove così si legge: “levat archidiaconus calicem per ansas, et tenet exaltans illum iuxta pontificem”: e che alcuni de’ calici ministeriali avevano una fistola detta “siphon”, per la quale i laici succhiavano il divin sangue: il che fu anche prima avvertito dal Lindano al lib. 4 Panopl. evangel. al cap. 46, che così scrive: “quia sanguinis effusio propter incultioris populi rusticitatem merito timebatur, calicibus canna est feraminata, affabreque inserta”.
Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 24-25.