Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 39
[Amitto]
XXXIX. Ciò premesso, e venendo ai sacri indumenti, il primo sacro indumento è l’amitto, negli antichi libri liturgici chiamato anaboladium. Amalario nel lib. 2 De ecclesiasticis officiis al cap. 17 così parla dell’amitto: «Amictus est primum vestimentum nostrum, quo collum undique cingimus». Il padre Le Brun nel suo tom. 1 alla pag. 42 pretende, che la parola amictus derivi dalla prola amicire, che significa coprire; e pretende che fosse introdotto nel secolo ottavo per coprire il collo, che gli ecclesiastici ed i laici fino a quel tempo avevano portato nudo, il qual costume poi fu riputato indecente. Onoro Augustodunense nella Gemma animae al lib. 1, cap. 201 sembra accennare che il nostro amitto sia lo stesso che l’ephod dell’antica legge: «Hinc humerale, quod in lege ephod, apud nos amictus dicitur, sibi imponit, et illo caput, et collum et humeros, unde et humerale dicitur, cooperit, et in pectore copulatum duabus vittis ad mamillas cingit»: il che però sebbene non viene comunemente ammesso dagli altri, nondimeno è assai verisimile; essendo stato l’ephod nell’antica legge vestimento sacerdotale; per lo che s. Girolamo nella Lettera a Marcella scrisse: «illud breviter attende, quod numquam nisi in sacerdotio nominetur ephod; essendo stato l’ephod sacerdotale di lino, essendo stato l’ephod una specie di cinta, che girava attorno alla parte posteriore del collo, e dalle spalle discendeva nel petto, nel petto s’incrocchiava, donde girando sopra tutto il corpo, veniva a cingere la tonaca, e benché fosse ornamento sacerdotale, fu anche alle volte adoperato da’ laici, mentre se ne servì David nel solenne trasporto dell’Arca dalla casa d’Obededon a Gerusalemme, come si vede nel 2° lib. de’ Re al cap. 13. Leggasi il Calmet nella parola ephod circa la qualità di questo vestito; e veggasi circa il nostro amitto, e la somiglianza con l’ephod, il Saussajo nella Panop. sacerd. part. 1, lib. 1, cap. 2. I Maroniti e gli Ambrosiani pongono l’amitto sopra il camice; e così anche una volta facevano i Greci: ma questi oggidì non si servono più dell’amitto, conforme attestano il Magri nel suo Vocabolario ecclesiastico alla parola amictus, ed il Clericato De Sacrificio missae alla decis. 50 n. 22. Nel quinto Ordine romano stampato dal Mabillon nel tom. 2 del suo Museo Italico, vedesi, che l’amitto allora si metteva dopo il camice. Il Giorgi nel suo tom. 1 de Liturgia romani pontificis porta un antico messale vaticano di sopra settecento anni, in cui si prescrive, che l’amitto si pigli dopo il calice e dopo il cingolo: il che non solo oggi si fa dagli Ambrosiani, come poc’anzi abbiamo accennato, ma ancora dai canonici di Lione. Nella Chiesa romana, ed oggidì comunemente in quasi tutto il mondo cattolico, l’amitto si mette prima del camice: e di questo rito abbiamo un vestigio in un messale del secolo undecimo, giusta ciò, che si legge nel P. Merati alla part. 2ª, cap. 1, num. 20, tom. 1, part. 1ª. V’è chi pone nell’amitto ornamenti di seta, e d’oro: ma il cardinal Bona nel lib. 1 Rer. Liturg. Al cap. 24 num. 3 attesta esser uso recente, né mai praticato dalla sacra antichità.
Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 34-35.