Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 7
[Fuori delle chiese]
VII. Si è detto pure essersi ne’ primi secoli celebrate le messe anche fuori delle chiese, quando non si sono potute celebrare nelle chiese. È tradizione ferma, che l’apostolo s. Pietro quando giunse a Roma, fosse ricevuto da Pudente senatore nella propria casa, e che ivi radunasse alla sacra Sinassi i cristiani, ed essere la casa di Pudente la chiesa che oggi si dice di s. Pudenziana, come può vedersi nelle Note al martirologio romano del cardinal Baronio al giorno 19 di maggio. Nel principio dei quarto secolo fu celebre il martirio di s. Saturnino e compagni, gli atti del qual martirio sono riferiti dal Ruiuart. In essi si espone, che nei tempi di Diocleziano e Massimiano furono distrutte le chiese, e fu proibito il celebrare i riti sacri, ed il fare le sante adunanze. Negli atti medesimi poi si racconta, come Saturnino prete coi figli Saturnino e Felice lettori ed altri quarantasette compagni, non ostante l’editto di Diocleziano, disse la Messa: «Namque in civitate Abitinensi in domo Octavii Felicis, cum bellica caneret tuba, dominica signa gloriosi martyris erexerunt, ibique celebrantes ex more Dominicum, a Coloniae magistratibus, atque ab ipso stationario milite apprehenduntur Saturninus presbyter cum filiis quatuor, id est Saturnino iuniore, et Felice lectoribus, Maria sanctimoniali, Ilarione infante». Quel dominicum celebrare, come dimostra il Ruinart, significa il celebrare la Messa. Negli atti medesimi Tedica martire posta ne’ tormenti confessò «integre se celebrasse collectam quando cum ipsis etiam praesbyter fuerat». Dativo negli stessi atti interrogato «utrum in collecta fuisset» rispose che arrivò essendo già incominciata la colletta, ma che «dominicum cum fratribus congrua religionis devotione celebravit». E Saturnino interrogato rispose al proconsole: «Securi dominicum celebravimus; proconsul ait: quare? respondit: quia non potest intermitti dominicum». Sono degne d’osservazione le parole «integre collectas celebrare» che importano la celebrazione della Messa; non potendosi celebrare interamente le collette senza il prete che consagri. Sono altresì degne d’osservazione le parole «collectas facere, collectas celebrare» additandosi in esse il sentir la Messa; come si deduce da s. Gregorio turonense De gloria martyrum al lib. 1 cap. 75, De gloria confessorum al cap. 65. Fanno al nostro proposito ancora le notizie che ci restano delle messe celebrate nelle carceri, come si vede nella Lettera 5 di s. Cipriano ai preti ed ai diaconi, il quale gli avverte che andando a dir la Messa nelle prigioni ove erano ristretti i confessori di Cristo, v’andassero in maniera da non essere scoperti dai gentili; come pure delle messe celebrate ne’ tempi particolarmente delle persecuzioni, come si deduce dalle costituzioni apostoliche al lib. 6 cap. 30: «acceptabilem eucharistiam offerte in ecclesiis et coemeteriis vestris»; e si vede negli atti del martirio di s. Stefano papa e martire che «Romae in coemeterio Calysti in persecutione Valeriani, dum missae sacrificium perageret, supervenientibus militibus, ante altare intrepidus et immobilis, coepta mysteria perfìciens in sede sua decollatus est»; sono parole del Martirologio romano ai 2 d’agosto. E Dionisio alessandrino appresso Eusebio al lib. 7 della storia dopo aver detto che nel tempo delle persecuzioni era proibito ai cristiani il ragunarsi, così soggiugne al cap. 22: «cumque ab omnibus fugaremur, atque opprimeremur, nihilominus tunc quoque festos egimus dies. Quivis locus in quo varias aerumnas singillatim pertulimus, ager, inquam, solitudo, navis, stabulum, carcer, instar templi ad sacros conventus peragendos fuit».
Cfr. P. Lambertini Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 8-9.