Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 69-71
[Lingua in cui si celebra la messa]
LXIX. Passando all’idioma, si celebra nella Chiesa occidentale la messa in lingua latina; ed è un’infame calunnia di chi ha preteso o pretende ciò farsi, ad effetto che il popolo ignori i misteri della medesima. E che questa sia una nera e sporca calunnia, si comprova col sacro concilio di Trento alla sess. 22 De sacrificio missae al cap. 8 ove ancorché si dica esser cosa espediente che la messa non si celebri in lingua volgare, si prescrive però che chi ha cura d’anime ne’ giorni particolarmente festivi di precetto vada spiegando al popolo qualche cosa in ordine alla messa e ai misteri della medesima. «Etsi missa magnam contineat populi eruditionem non tamen expedire visum est Patribus ut vulgari passim lingua celebraretur. Quamoberem retento ubique cuiusque Ecclesiae antiquo, et a sancta romana Ecclesia, omnium Ecclesiarum matre et magistra, probato ritu, ne oves Christi esuriant, neve parvuli panem petant et non sit qui frangat eis, mandat sancta synodus pastoribus et singulis curam animarum gerentibus ut frequenter inter missarum celebrationem vel per se vel per aliis, ex iis quae in missa leguntur, aliquid exponant atque inter caetera sanctissimi huius sacrificii mysterium aliquod declarent, diebus praesertim dominicis et festis».
LXX. La proposizione ottantesima sesta di Quesnell fra le condanne nella bolla Unigenitus dalla S. M. di Clemente XI è la seguente: «Eripere simplici populo hoc solatium iungendi vocem suam voci totius Ecclesiae est usus contrarius praxi apostolicae et intentioni Dei». Vari sono i sensi di questa proposizione e fra gli altri vi è quello, che Quesnell intendesse che si dovesse dire la messa in idioma volgare ed in questo senso fu inteso dai cento vescovi di Francia nel loro documento pastorale ed anche intesa in questo senso fu da essi riprovata, e dottamente confutata dalla buona memoria del P. Fontana della Compagnia di Gesù, uomo di gran merito e sapere nel cap. 5 sopra la prop. 86 di Quesnell pag. 816 e seguenti, e dall’insigne teologo della religione agostiniana il P. Bellelli, nella sua bell’opera, in cui egli espone la mente di s. Agostino sopra il modo della riparazione dell’umana natura dopo la sua caduta.
LXXI. Giovanni Echio che con tanta dottrina scrisse contro i luterani, allorché inveirono contro di noi, appresso dei quali si dice la messa in lingua latina, come può vedersi nell’omel. 3 del suo tom. 2, le parole della quale leggonsi nel Raynaldi all’anno di Cristo 1523 num. 61, fu di sentimento che gli apostoli e i loro successori celebrassero la messa in lingua ebraica fino ai tempi d’Adriano imperatore, e che allora incominciasse la Chiesa a servirsi della lingua greca nelle cose sacre. Altri hanno creduto che la sacra liturgia non sia mai stata celebrata in altra lingua che nella latina o nella greca o nell’ebraica, in memoria dei tre idiomi ne’ quali fu scritto il titolo posto sopra la croce di Gesù Cristo. Ma chi ha trattato a fondo la materia, e coi fondamenti della storia ecclesiastica ha pienamente dimostrato che gli apostoli e i loro successori non solo predicarono, ma celebrarono anche i divini offici e la messa nella lingua volgare di quel paese in cui predicavano e dicevano la messa, e che però nella Chiesa occidentale si servirono della lingua latina, perché in quel tempo la lingua latina era intesa da tutti ed era lingua comune. Si possono vedere il cardinal Bona Rer. liturg. al lib. 1 cap. 5 num. 4, il P. Le Brun nel tom. 4 alla pag. 201 e molte altre seguenti, il Martene De antiquis Ecclesiae ritibus al lib. 1 cap. 3 art. 2.
Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 59-61, riprodotto in «Una Voce Notiziario», 65-66 ns, 2017, pp. 1-2 link