Monsignor Mario Cosulich era nato a Lussinpiccolo il 28 agosto 1920. Avvertita precocemente la vocazione al sacerdozio, si schiusero per lui le porte del Seminario zaratino quando aveva dieci anni. Completati gli studi ginnasiali e liceali, passò al Seminario Teologico Centrale di Gorizia. Qui ebbe ad annoverare tra i compagni di studi personalità che segnarono la storia recente dell’Arcidiocesi Metropolitana come mons. Pietro Cocolin, destinato a divenire arcivescovo di Gorizia e dal 1975 al 1977 amministratore apostolico di Trieste, mons. Silvano Fain, arciprete di Grado per più di quarant’anni, mons. Luigi Ristis che fu preposito del Capitolo Metropolitano Teresiano e ricoprì importanti incarichi presso la sede metropolitana.
Il clima particolarmente difficile che in quegli anni si respirava al Seminario goriziano, indusse l’arcivescovo di Zara, Pietro Doimo Munzani, a maturare la decisione di trasferire il giovane e promettente seminarista al Pontificio Seminario Romano, specie in ragione della sua brillante intelligenza e dell’entusiasmo con cui affrontava le difficoltà dello studio. Fu proprio nell’Urbe che completò gli studi che gli valsero una formazione teologica, liturgica ed ascetica particolarmente robusta e che furono coronati con il conseguimento della licenza in Teologia dogmatica ed il baccellierato in Filosofia.
Tra i suoi insegnanti negli anni di formazione romana — oltre al celebre storico Pio Paschini — si possono contare tre futuri cardinali: Francesco Carpino, Giuseppe Antonio Ferretto ed Ermenegildo Florit. Il chierico Mario Cosulich faceva parte di una classe di sedici allievi: di essi uno divenne cardinale (Vincenzo Fagiolo) e sei divennero vescovi. Tra i compagni di seminario figuravano ancora, pur in classi diverse, i futuri cardinali Giovanni Canestri e Salvatore Pappalardo con i quali negli anni serbò cordiali rapporti di amicizia.
Il diacono don Mario Cosulich non aveva ancora compiuto i 23 anni il 7 marzo del 1943, quando — per imposizione delle mani di mons. Munzani — divenne sacerdote. L’ordinazione si compì, proprio secondo il suo desiderio, nel duomo intitolato alla Natività di Maria nella natia Lussinpiccolo ove, il giorno successivo, cantò la sua prima Messa solenne. Frattanto a Roma, nel periodo a ridosso della sua ordinazione presbiterale, gli era stato prospettato di continuare il percorso formativo presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica in vista di un suo ingresso nel corpo diplomatico della Santa Sede. Don Mario però volle preferire il servizio pastorale divenendo cooperatore del parroco don Ottavio Haracich ed assumendo, nel contempo, l’insegnamento del latino, greco, ebraico e sacra teologia al Seminario di Zara.
Nel 1949, accolto da mons. Antonio Santin, don Cosulich inizia il suo lunghissimo servizio presso la nostra diocesi. Dopo pochi mesi come cooperatore presso la parrocchia di S. Lorenzo di Servola, viene trasferito — con lo stesso incarico — a S. Antonio Nuovo, allora retta da mons. Giovanni Grego, una figura sacerdotale destinata a rimanere scolpita negli affetti e nel cuore di don Mario.
Ricoprì l’incarico di presidente per l’Anno Santo del 1950, organizzando — specie per la sua conoscenza dell’Urbe — il nutrito pellegrinaggio triestino a Roma. Non aveva ancora compiuto trent’anni nel 1951 quando mons. Santin lo chiamò a ricoprire l’incarico di amministratore dell’allora più popolosa parrocchia della città: S. Giacomo Apostolo. L’anno successivo, la sua devozione verso il Serafico Padre san Francesco, lo portò a compiere la sua professione come terziario francescano. Nel 1954 giunse la sua nomina a parroco: come amava ripetere, fu l’ultimo dei parroci triestini a ricevere l’anello, segno del legame con la comunità, secondo una tradizione di molti luoghi un tempo sotto la sfera degli Asburgo. Proprio a S. Giacomo si profuse il suo vivace e travolgente zelo, sorretto dall’età e sostenuto da numerosi collaboratori tra i quali ricordiamo: don Ivan Omersa, don Luigi De Apollonia, don Nereo Beari e, più tardi, don Matteo Filini, don Tullio Giadrossi, don Elio Stefanuto.
Ma molteplici furono gli incarichi che egli ebbe a ricoprire in diocesi: assistente della sezione maschile della FUCI, docente di teologia presso il nostro Seminario, cappellano dell’Apostolatus Maris, fondatore della Caritas diocesana, membro della Fondazione Benefica Casali e ancora apprezzato insegnante di religione — assieme a mons. Giuseppe Rocco — del Liceo Scientifico Guglielmo Oberdan (1950-1978) ove ancora moltissimi allievi lo ricordano con filiale affetto.
Nel 1965 san Paolo VI lo annoverò tra i camerieri segreti (grado della prelatura poi trasformato in cappellani di Sua Santità), cui spettava il trattamento di «monsignore». Nel 1968, con autorizzazione di mons. Santin, volle compiere un corso di aggiornamento teologico all’Università Cattolica di Washington ove, contemporaneamente, prestò servizio in una parrocchia della metropoli cui era annesso un ospedale.
Nel 1982, lasciata la parrocchia di S. Giacomo, divenne canonico del Capitolo Cattedrale di San Giusto. Due anni dopo, mons. Lorenzo Bellomi, volle nominarlo cerimoniere vescovile, un incarico che mons. Mario Cosulich svolgeva con estrema precisione stante il suo amore per la sacra liturgia che lo aveva appassionato in particolare negli anni romani.
Il 7 luglio del 1992, succedendo a mons. Luigi Carra, divenne preposito (prima dignità del nostro Capitolo), carica cui si associava storicamente il titolo di protonotario apostolico che mons. Cosulich ricevette altresì ad personam nel 2003. Nel biennio 1993-1994 fu amministratore della parrocchia della Madonna della Provvidenza.
Persona dotata di grande forza di volontà, sempre assiduo anche negli ultimi tempi — pur negli acciacchi della veneranda età ed i problemi che minarono la sua salute — agli obblighi capitolari, vivace, scherzoso, tutti lo ricordano per la sua brillante facondia, il suo senso spiccato dell’ironia e la sua capacità — davvero rara — di rendere semplici anche i concetti più complessi senza mai banalizzarli. Questo suo modo di essere, capace sempre di infondere coraggio, di relazionarsi alle persone gli fu sempre caratteristico. Ciò sino agli ultimi istanti della sua vita terrena, una vita sorretta da una devozione inossidabile specialmente verso la Vergine Maria invocata, dagli allievi del Pontificio Seminario Romano di cui fu decano, come «Mater mea, fiducia mea!».
Francesco Tolloi
Cfr. «Vita Nuova», 25 ottobre 2019, p. 7.