CÀMICE. – Veste di lino bianca (detta perciò in linguaggio liturgico alba), lunga fino ai piedi, usata dagli ecclesiastici nelle funzioni liturgiche. Deriva dalla tunica che i Greci e i Romani portavano sola, o sotto le altre vesti. Era senza maniche e giungeva alle ginocchia, quella muliebre discendeva sino ai piedi, donde il suo nome di talare. Nel sec. iii, sotto l’influsso dei costumi orientali, furono aggiunte le maniche. Semplice e senza ornato da principio, ebbe in seguito delle lunghe strisce di porpora o di altro colore, che scendevano, dalle spalle ai piedi, tanto di dietro che davanti. E’ precisamente questa tunica talare, bianca, senza ornato, con le maniche lunghe e strette ai polsi, che i chierici usarono per compiere i sacri ministeri. Il Concilio di Cartagine del 398 stabilì che il diacono indossasse la tunica solamente nel tempo dell’oblazione o delle lezioni. Nel sec. vi anche i suddiaconi cominciarono a portarla. Nell’830 Leone IV prescrisse per le funzioni sacre un c. diverso dall’ordinario; così quando i civili cessarono di portare la tunica, questa fu conservata nella liturgia e divenne indumento sacro. Nell’Ordo Romanus I la tunica di lino è già certamente una veste liturgica.
L’antica tunica era abbastanza ampia, e vi furono applicati ornamenti di seta o di oro, non solo alla estremità e alle maniche, ma anche sul petto, sulle spalle, alle falde. Con l’andar del tempo questi ornamenti scompaiono, per dar luogo, specialmente dal sec. xvi, a merletti e trine di vario genere. Oggi il c., secondo le prescrizioni canoniche, deve essere di tela bianca, di taglio abbastanza ampio e scendere fino ai talloni, stretto con il cingolo, intorno ai fianchi. Nessun ornato è prescritto; si può quindi seguire l’uso invalso di applicarvi dei merletti intorno al collo, alle estremità delle maniche, e dell’orlo inferiore. I c. fatti di soli merletti non sono permessi; sono invece tollerati i fondi di vario colore da sottoporsi al merletto delle maniche e della frangia; rappresentando essi il colore della sottana del celebrante. L’uso del c. è riservato dal sec. xii-xiii ai soli ministri in sacris per la Santa Messa, e tutte le volte che si indossa la dalmatica o la tunicella. Il sacerdote non l’usa nei vespri, matutino e lodi, e nelle esequie. Il c. deve essere benedetto dal vescovo o da chi ne ha la facoltà.
Bibl.: J. Braun, I paramenti sacri, Torino 1914, pp. 70-77; V. Casagrande, L’arte a servizio della Chiesa, ivi 1938, pp. 194-97. Enrico Dante
Cfr. Enciclopedia Cattolica, III, Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e il Libro Cattolico, 1949, coll. 436-437 (riprodotto in «Una Voce Notiziario», 56-57 ns, 2014-2015, p. 17 link)