Pietro Siffrin, Manipolo

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MANIPOLO (Manipulum, mappula, fano, sudarium, mantile, manuale, sestace). –  Indumento liturgico, portato sull’avambraccio sinistro in modo che le due bande pendano da ambedue le parti, confezionato della stessa stoffa della pianeta. Il m. è proprio di tutti gli ordini maggiori, specialmente del suddiaconato, da quando questo cominciò ad essere annoverato fra i maggiori (secoli xi e xii). Si usa, oltre che nella Messa, soltanto all’Epistola e Vangelo nella benedizione delle palme, ed all’Exultet del Sabato Santo; non si usa mai col piviale. Il vescovo mette il m. all’altare dopo aver recitato il Confiteor; il sacerdote dopo il cingolo, prima della stola; i ministri dopo la tunicella o dalmatica.

Il m., d’origine romana, deriva dalla mappa o mappula, una specie di fazzoletto da tasca usato dai nobili romani in certi costumi di gala (le alte cariche dello Stato, p. e. consoli in tenuta di cerimonia come risulta dai dittici consolari), tenuto in mano come oggetto di etichetta e solamente ad ornamento. Questa mappula decorativa venne da quella d’uso comune (Amalario, De eccl. off., II, cap. 24). Non si sa precisamente quando il m. sia entrato a far parte della suppellettile sacra. La prima notizia del m. diaconale si trova nella vita dei papi Silvestro I (314-324) e Zosimo (417-418) del Liber Pontificalis; si chiama «pallium linostimum» un tessuto di pregio, fatto di lana o di seta su trama di filo, dato a titolo di onore, da portarsi sulla mano sinistra. Il m. del Papa occorre nell’Ordo Romanus I (la cui consegna serve a dare segno d’incominciare il canto dell’Introito); il m. del suddiacono nell’Ordo Romanus VI; talvolta anche gli accoliti (Ordo Romanus V) usavano il m. ma non in mano, «in sinistro latere ad cingulum»; ed i monaci cluniacensi nelle feste; ma in seguito l’uso venne riservato ai monaci d’ordine maggiore (suddiaconi ecc.). Il m. era la prerogativa del clero romano, ma da s. Gregorio Magno, per le insistenze di Ravenna, fu concesso anche al solo primo diacono di quella Cattedrale. Nel secolo ix il m. si trova in uso dappertutto nell’Occidente. A Roma è chiamato mappula, fuori di Roma «m.»: quest’ultima denominazione divenne di regola; ricorrono altri nomi: fano (phano-panno) e mantile in Rabano Mauro, sudario in Amalario, sestace a San Gallo.

Fin oltre il 1100 (v. affresco del secolo xi di S. Clemente a Roma) si porta il m. nella mano sinistra; verso il secolo xii-xiii s’incominciò a fissare il m. sull’avambraccio. Il m. ritenne la forma antica di fazzoletto oltre il secolo ix; in seguito, ripiegato su se stesso, venne prendendo a poco a poco la forma di striscia o fascia; sul finire del secolo xiv diviene corrente la forma odierna. Al tempo d’Amalario, era fatto di lana; venne poi usata la seta; alle estremità si mettono frange, talvolta campanelli, ricami o trame in oro. La rubrica del Messale prescrive soltanto l’ornamento con un segno di croce in mezzo. Nel rito greco si trova un indumento corrispondente al m., chiamato encheirion, proprio del solo vescovo, portato a destra nel cingolo, non nella o sulla mano; in seguito trasformato nell’epigonation romboidale (J. Braun [v. bibl.], pp. 550-54).

Bibl.: J. Braun, Die liturgische Gewandungim Occident und Orient nach Ursprung und Entwicklung, Verwendung und Symbolik, Friburgo in Br. 1907, pp. 515-561; L. Eisenhofer, Handbuch der kath. Liturgik, I, ivi 1932, pp. 449-452; M. Righetti, Manuale di storia liturgica, I, Milano 1945, pp. 498-500; T. Klauser, Der Ursprung der bischöflichen Insignien und Ehrenrechte (Bonner akadem. Reden, I), Krefeld 1949, pp. 17-22; A. Alföldi, Insignien und Tracht der römischen Kaiser, in Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts, Röm. Abt., 50 (1935), pp. 1-171.                                   Pietro Siffrin

 

Cfr. Enciclopedia Cattolica, VII, Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e il Libro Cattolico, 1951, coll. 1969-1970 (riprodotto in «Una Voce Notiziario», 58-61 ns, 2015-2016, pp. 10-11 link).

 

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