La grande persecuzione di Diocleziano è considerata l’ultima e la più grave repressione cruenta dei cristiani da parte dell’Impero romano. Ma cinquant’anni dopo, Giuliano l’Apostata adottò nuovamente una politica anticristiana, fondata non tanto sulla repressione fisica e la messa a morte, quanto sul relativismo e sulla abolizione delle garanzie alla libertà religiosa dei cristiani che erano state disposte da Costantino il Grande e dai suoi successori.
La Chiesa fu privata della capacità patrimoniale per impedirle di sostenere il culto e svolgere le altre finalità sue proprie. Si poneva così un grave pregiudizio alla sua libertà. Presto la morte in battaglia scongiurò i mali che Giuliano intendeva infliggere a coloro che egli chiamava «Galilei».
La nuova regolamentazione del Motu proprio Traditionis custodes, intervenuta il 16 luglio 2021, ha sostituito in gran parte in senso restrittivo quanto era stato stabilito nel 2007 dal Motu proprio Summorum Pontificum che garantiva ai cristiani un più largo uso del Messale Romano e dei libri liturgici antichi.
Il nuovo Motu proprio è certamente un ritorno indietro, pur essendo ben noto che i nemici della liturgia romana tradizionale, coloro che – anche fra cardinali e vescovi, professori di liturgia, officiali e membri del clero – pretendono di non ammettere più il rito tridentino nella Chiesa, erano ben presenti anche quando era in pieno vigore Summorum Pontificum, determinando disapplicazioni e dinieghi.
La responsabilità almeno programmaticamente attribuita ai vescovi diocesani – in qualità appunto di “custodi della tradizione” – di moderare, nel senso di autorizzare l’uso del messale antico nella propria diocesi ha portato a limitazioni delle Messe e dei sacramenti.
Tali limitazioni appaiono più o meno gravi a seconda dei luoghi, non per questo sono meno lesive della libertà dei cristiani di fruire della liturgia tradizionale. Da quanto è accaduto e accade in alcune diocesi dopo Traditionis custodes – riduzione del numero delle Messe, divieto dei sacramenti e delle esequie nella forma antica, rifiuto di rinnovare accordi con istituti religiosi tradizionali che spesso forniscono i celebranti – taluno paventa che, pur non avendo il Motu proprio inteso vietare, ma solo regolamentare l’uso del Messale precedente, si sia voluto avviare un processo per sradicare la celebrazione della Messa tridentina nel lungo periodo.
Il presidente della Federazione Internazionale Una Voce Joseph Shaw, nel suo messaggio alle associazioni membro dell’ottobre 2021, ribadendo che, dopo cinquant’anni di emarginazione e rifiuto, noi cattolici legati alla liturgia tradizionale non ci arrenderemo ora, ha menzionato «i cattolici perseguitati, dall’Inghilterra al Giappone»: essi non per decenni ma per secoli hanno vissuto la loro fede nel segreto, e talora hanno pagato con la vita i loro piccoli successi (cfr. Message from the President, Dr Joseph Shaw to the Member Associations of the Federation, and All Our Supporters and Friends, in fiuv.org/2021/10/message-from-president-dr-joseph-shaw.html; trad. it. in «Una Voce Notiziario», 80-82 ns, 2021, p. 2 link).
Ma questa cinquantennale persecuzione non è una persecuzione perpetrata da nemici della Chiesa e del nome cristiano, proviene invece dall’interno, anzi a volte da chi nella Chiesa esercita l’autorità gerarchica.
Ciò ci pone di fronte al mistero della Chiesa, come scrisse il padre Humbert Clérissac «il faut savoir souffrir non seulement pour l’Église, mais par l’Église». La sofferenza che ci viene dalla Chiesa non possiamo considerarla diversa dalla sofferenza che ci viene da Dio: è l’equivalente soprannaturale di una missione, quella di concorrere efficacemente alla santità della Chiesa (H. Clérissac, Le mystère de l’Église, Paris, Crès, 1918, pp. 178 ss.).
E i membri del movimento Una Voce hanno sopportato insulti e rifiuti, condizioni ingiuste e umilianti imposte alle loro attività, la denigrazione di quanto hanno di più caro. «We have endured all this – ha testimoniato il nostro Presidente – because our own comfort and amour propre is subordinate, in our own estimation, to the good of souls and the honour due to God» (J. Shaw, loc. cit.).
La persecuzione che parte dall’interno della Chiesa non toglie ma piuttosto conferma e rafforza il nostro dovere di continuare la santa battaglia per il mantenimento della liturgia tradizionale. E’ la liturgia che secondo l’antico detto stabilisce la legge del credere – la Messa romana antica conferma e propugna in particolare la dottrina del sacrificio eucaristico e di che cosa è la Chiesa. E’ la forma del culto divino che si sviluppa in modo organico, e abbiamo visto e vediamo come essa contribuisca fortemente a riportare alla fede coloro che si sono allontanati, ispirare le conversioni, sostenere le famiglie, stimolare le vocazioni, rappresentare la base per il rilancio delle comunità locali.
Se come membri ed esponenti di Una Voce abbiamo sopportato e dovremo sopportare questa persecuzione perché siamo convinti che il nostro benessere personale e il nostro amor proprio siano subordinati al bene delle anime e all’onore dovuto a Dio, allora la sofferenza che ci viene dalla Chiesa perché siamo legati alla Messa tradizionale rappresenta il punto più alto della nostra azione, ciò che più di ogni altra cosa ci fa concorrere alla santità della Chiesa.
Sia consentito ricordare quanto l’imperatore Galerio – in precedenza uno dei maggiori fautori della Grande persecuzione – osservava nell’editto di Serdica del 30 aprile 311, il primo atto che della persecuzione segnava la fine, come testimoniato da Lattanzio nel de mortibus persecutorum: «abbiamo constatato che essi né tributavano agli dei la reverenza e il timore loro dovuti, né adoravano il Dio dei cristiani» (Lact. mort. pers. 34, 4). Si riferiva ai cristiani che per paura della sofferenza avevano cessato di essere tali e abbandonato il culto divino, ma non avevano praticato il ritorno al paganesimo, lo scopo ultimo della persecuzione, che pertanto era risultata inutile, e probabilmente anche controproducente.
Anche oggi qualcuno se ne renderà conto?
Fabio Marino