Pietro Siffrin – Maria Accascina, Ostensorio

OSTENSORIO. – E’ un vaso sacro (monstrantia, tabernaculum [mobile o portatile], custodia] che si adopra per la solenne esposizione del S.mo Sacramento o per recarlo in processione, in uso soltanto nella Chiesa latina.

Consta di una specie di teca (di forma quadrata, rotonda, o cilindrica) munita di cristallo, sorretta da un piede simile a quello del calice. L’Ostia si immette in un sostegno semirotondo (detto lunula o lunetta per la sua forma di mezza luna, chiamata talvolta nella Germania orientale del sud «Melchisedech»; Gen. 14, 18), fissato nella teca per mezzo di una incanalatura. Il tutto, di altezza variabile dai 40 ai 120 cm., è sovrastato da una piccola croce (S. Congr. dei Riti, decr. 2957). Non sono prescritte né la materia (oro, argento, rame dorato; decr. 3162 ad 6), né la benedizione; soltanto la lunetta, fatta per convenienza di metallo dorato, è benedetta (decr. 926 ad 5).

L’o. venne introdotto nel sec. xiv in seguito all’uso fattosi più comune nel sec. xv, di esporre il S.mo Sacramento alla adorazione pubblica. Al principio si faceva l’esposizione con la pisside o con un vaso a forma di scatola munita di cristallo.

Ma per il desiderio di vedere l’Ostia Santa, e, specialmente, per portarla svelata in solenni processioni, si costruirono appositi ostensori.                     Pietro Siffrin

 

Arte. – Nell’epoca gotica (secc. xivxv), quando più se ne diffuse l’uso parallelamente ai reliquiari, di cui è una filiazione, l’o. fu ideato come un tempietto, la casa del Signore, e, in tutto aderendo agli esemplari dell’architettura, ebbe guglie, pinnacoli, contrafforti, statuette, modificandosi a seconda delle varianti regionali con prevalenza di cristalli a Venezia, con archi riflessi alla catalana in Sicilia o nella Sardegna, con forme più dure e ferrigne nella Lombardia (esempi a Lovere, chiesa di S. Giorgio; a Rossano, Cattedrale; a Milano, Castello Sforzesco, ecc.). Sull’esempio dei grandiosi ostensori che si facevano nella Spagna, nell’Italia meridionale, specie in Sicilia, alcuni ostensori raggiunsero un’altezza di ca. 2 m. e dovevano essere portati a braccia durante le processioni. Esempio eccezionale è quello rimasto nella cattedrale di Enna, opera di Paolo Gili (sec. xvi). Durante il Rinascimento, nelle varie regioni, anche per le forme degli ostensori gli orafi guardarono agli esemplari della nuova architettura; così non si mutò la forma generale dell’o. ma si sostituirono colonnine, timpani e cupolette ai contrafforti e alle guglie, ricercando una maggiore armonia nelle proporzioni e decorando la base e il fusto con minuti ceselli (Peja, chiesa di S. Antonio; Corlago, chiesa di S. Pancrazio) ecc.

Col sec. xv si cominciò a preferire un altro tipo di o. detto «a sole». Identificando l’Eucaristia al sole raggiante, la teca di cristallo che la conteneva fu racchiusa da una cornice circolare dalla quale si dipartivano raggi di varia lunghezza, spesso alternati in oro e in argento, ornati da gemme o da fiori con smalti (Palermo, S. Domenico) o coralli (Trapani, Museo nazionale). La fantasia degli orafi artisti diede a questo tipo altri particolari decorativi: il fusto fu interrotto o formato da figure di santi che sorreggono la sfera (Padova, chiesa di S. Luca; Castel di Sangro, Cattedrale), oppure da coppie di angioli (Bagnara, chiesa madre; Stilo, chiesa di S. Giovanni Teresti; Vibo Valentia, chiesa di S. Leo Luca, ecc.). Libero da ogni compromesso con l’architettura, l’o. nel Settecento assunse forme splendide nella perfetta unità di movimento che dalla base passa al fusto in un vortice d’oro dal quale in alto sorge la sfera raggiante incoronata da angioletti adoranti; oppure coperta da grappoli d’uva o di spighe come piacque agli orafi Filiberto, Michele Kuerner, viennese, Angelo Spinazi, Mercurio, Sebastiano Juvara e altri molti (ad es., Chiuduno [Bergamo], chiesa di Maria Assunta; Bergamo, chiesa di S. Alessandro della Croce; Piacenza, chiesa di S. Lazzaro; Palermo, Museo nazionale; Messina, chiesa di Monte Vergine, ecc.).

Il gusto neoclassico agli inizi dell’Ottocento irrigidì le forme ma non mutò sostanzialmente il tipo che rimase il preferito modello per le riproduzioni industriali. Più recentemente nelle varie mostre di arte sacra si è visto con quanta insistenza, e spesso con quante perfezionate esperienze gli orafi moderni hanno elaborato il motivo dell’o. raggiungendo assai spesso la stessa nobiltà degli antichi modelli.

Bibl.: J. Braun, Das christl. Altargerät in seinem Sein und in seiner Entwicklung, Monaco 1932, pp. 348-411; M. Righetti, Manuale di storia liturgica, I, 2ª ed., Milano 1950, pp. 474-75.                                                                                                                          Maria Accascina

 

Cfr. Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e il Libro Cattolico, 1952, coll. 430-431.

 

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