Il 28 e 29 giugno [1970, NdR] gruppi di cattolici tradizionalisti provenienti da tutti i Paesi d’Europa, dal Messico e dagli Stati Uniti sono venuti a Roma in pellegrinaggio di preghiera e di espiazione: preghiera per invocare l’assistenza del Signore sulla Chiesa ed espiazione per riparare i tradimenti che, presentati con il falso nome di “riforme”, ogni giorno si compiono contro la dottrina tradizionale della fede.
La mattina del 28 è stata celebrata al Colosseo una Santa Messa alla quale hanno assistito, comunicandosi, migliaia di fedeli di tutte le età e di tutti i ceti: giovani, contadini, scrittori (fra questi Jean Madiran e Tito Casini), vecchi, persone modestissime. Si sono mossi da lontani Paesi sopportando fatiche e disagi notevolissimi per supplicare il Santo Padre di aiutarli a mantenere intatta la speranza che la Chiesa superi la grave crisi in cui versa. Avevano il volto segnato dal dolore e da una ferma risolutezza.
Nel pomeriggio i pellegrini si sono dati convegno a Santa Maria Maggiore dove, sulla tomba di S. Pio V hanno giurato fedeltà alla Messa tridentina. Quindi, recitando il rosario e tenendo alti i loro stendardi, simboli di una fede gloriosa, hanno raggiunto a piedi San Pietro.
Nella basilica vaticana, davanti alla tomba di San Pio X hanno solennemente confermato la loro fedeltà al Papa, vicario di Cristo, alla Gerarchia e alla dottrina dei Padri rinnovando il giuramento antimodernista.
La notte fra il 28 e il 29 i fedeli l’hanno trascorsa in piazza S. Pietro, pregando sotto le finestre del Santo Padre. Dopo aver invocato l’assistenza dello Spirito Santo e la protezione della Vergine Maria sulla Chiesa, hanno vegliato fino al sorgere del sole alternando il canto di inni sacri con la recita del rosario e delle litanie dei Santi.
La mattina del 29, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, è stata celebrata una Messa cantata in gregoriano nella Chiesa di S. Andrea della Valle.
Nel pomeriggio il pellegrinaggio si è concluso con una benedizione solenne a S. Lorenzo in Lucina.
Il programma prevedeva una udienza del Santo Padre. I fedeli avrebbero voluto esprimere al Sommo Pontefice la loro devozione e implorarlo di confortarli con la Sua paterna benedizione. Ma al Papa è stato impedito di ricevere i figli devoti.
Il fatto ha suscitato vivo e doloroso stupore tanto più che, dopo soli tre giorni, l’Osservatore Romano scriveva che “Il Papa, per la sua missione, riceve quanti chiedono di avere il conforto della sua benedizione”.
La sera del 29 è stata tenuta una conferenza stampa. Dinanzi a un nutrito gruppo di giornalisti italiani e stranieri l’abbé Coache, direttore del movimento “Combat de la Foi”, dopo aver dichiarato che i partecipanti al pellegrinaggio non sono “né ribelli né contestatori” ha sottolineato che “la dottrina irreformabile del Concilio di Trento è stata tradita dai nuovi riti. La Messa – ha aggiunto l’abbé Coache – non è più la rinnovazione incruenta del sacrificio
del Calvario, ma l’assemblea: si è eliminato il sacerdozio gerarchico e sacrale per imporre il presidente dell’assemblea”.
Ha poi preso la parola la dottoressa Elisabeth Gerstner, direttrice del “Movimento Cattolici tradizionalisti Centro Europeo” che ha la sua sede a Monaco di Baviera. L’oratrice ha annunciato la pubblicazione sul prossimo numero di Itinéraires di una lettera aperta dello scrittore Jean Madiran al Papa. Nella lettera il valoroso scrittore cattolico esprime dolore e sdegno per il fatto che “nel testo francese della nuova Messa è stata esplicitamente negata
la divinità di Cristo”.
La signora Gerstner ha quindi rilevato che il pellegrinaggio ha ottenuto lo scopo che si prefiggeva: fare, cioè, un buco nel muro di silenzio che circondava i cattolici tradizionalisti. Infine ha annunciato che sarà ripetuta a Roma la “marcia della fedeltà” l’anno prossimo e quelli che verranno, finché la Chiesa non tornerà ad essere la custode dì quei valori che le sono stati affidati da Cristo e dai Padri.
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A coloro che desiderano documentarsi sulla stampa italiana, intorno al “Pellegrinaggio dei SS. Pietro e Paolo” consigliamo di richiedere i numeri del 29 e 30 giugno 1970 del quotidiano “Il Tempo” (Piazza Colonna Roma), del “Giornale d’Italia” del 29-30 giugno (Piazza Indipendenza 11B Roma), e i numeri 27-28 del settimanale “Lo Specchio” del 5 e 12 luglio (Via XX Settembre n. 1 Roma) i quali hanno pubblicato sul Pellegrinaggio le cronache più accurate.
Ad limina Apostolorum
… Ciò che abbiamo visto in quei giorni supera in bellezza e intensità spirituale tutto ciò che ha potuto essere compiuto dai fedeli cattolici in questi ultimi sette anni. E lo hanno compiuto i cattolici fedeli, e non gli altri. “Infine, che hanno fatto, gli altri?” si è chiesto ad alta voce un cattolico che per qualche tempo sperò
dagli altri qualcosa. Nessun vasto movimento spontaneo, nessuna autentica testimonianza di popolo da quel lato: esibizioni ben orchestrate, disperatamente monotone di minuscoli gruppi sempre meno cattolici. La vera folla cattolica
restava dal lato opposto, e lo ha mostrato nel pellegrinaggio ad limina Apostolorum.
Ci si attendeva, confusamente e non senz’ansia, qualcosa di estremamente sincero, senza dubbio, ma forse anche di patetico, di lievemente disordinato e senza un preciso carattere. Troppi ostacoli si erano frapposti a quel viaggio, troppo scarsi apparivano i mezzi, troppo inaccessibili – soltanto a loro – le
comunicazioni di massa perché il risultato non fosse gracile e approssimativo … Amici di poca fede! Avevamo dimenticato che quella gente veniva a congregarsi dai quattro punti cardinali per far preghiera e penitenza e che persino le 100.000 firme, da consegnare a Qualcuno che mostrò di non desiderare
riceverle, erano cosa trascurabile di fronte a quell’intento ben altrimenti assoluto. La potenza di quella gente sgorgava da un altro ordine di cose che non gli stessi impegni di testimonianza, o la loro organizzazione, pur così semplice e intelligente, o l’immensa dedizione dei loro capi. Essi erano venuti per altro, erano ordinati ad altro ed è ciò che lì ha resi irresistibili.
I giornali hanno parlato della grande Messa in Colosseo. Messa di ante-Concilio,
Messa di Messale romano, come l’ha definita Paolo VI, segnando da se stesso la distinzione definitiva tra quella e l’altra messa, la non romana. Messa celebrata da sacerdoti che, come san Giuseppe da Copertino, dopo ogni consacrazione vorrebbero poter svitare il pollice e l’indice e riporli in un cassetto fino alla prossima celebrazione. Messa servita da altri sacerdoti, austeramente, in nigris
perché la Chiesa dei poveri, come dissero, non forniva albe né rocchetti. Messa che si dovette replicare tre volte perché le particole, pur consacrate a migliaia, non furono sufficienti a nutrire l’immensa folla e fu necessario moltiplicarle. “Misereor super turbam – diceva il Vangelo di quella Domenica ho pietà di queste turbe che da tanto tempo mi seguono senza mangiare”. Da quanto era digiuna l’anima di quelle turbe che avevano viaggiato due intere notti totalmente insonni, confessando i preti, confessandosi i fedeli? Quel giorno e il giorno seguente esse furono saziate e restavano ancora ceste e ceste di pani e di pesci perché se ne nutrisse a lungo, copiosamente, la memoria.
E poi l’altra grande Messa nella Basilica di Sant’Andrea, il Primo Discepolo, il fratello del Primo Papa. Con sacerdoti, anche questa volta, in veste di diaconi e di suddiaconi e di chierici. Messa gloriosamente gregoriana. E questa volta, oltre i cordoni di polizia; oltre i piccoli tiranni spirituali venuti a spiare nell’ombra, attratti sempre di nuovo in quell’ombra come i criminali al luogo del crimine, c’erano, ufficialmente, gli osservatori vaticani; che né prima né durante né dopo
proferirono verbo, cosicché la preghiera e la penitenza di quelle turbe servì anche a dimostrare, se ve ne fosse bisogno, come il libero e franco uso di un diritto, imponga sempre, anche in tempi di falsificazioni del diritto, là dove sia infrangibile e pura la volontà di ricevere pane e non pietre.
E infine i giuramenti alle tombe di San Pio V, San Pio X, le migliaia di mani tese una dopo l’altra a toccare, in segno di fedeltà, il simulacro d’oro del Pontefice, levate in segno di promessa, verso la maschera d’oro del Pontefice. Giuramenti di perseveranza e di ortodossia che il clero non è più tenuto a prestare e che, come la lettura del Breviario, la continenza, la custodia amorosa delle chiese e altre cose che il clero lascia cadere dietro di sé, i fedeli silenziosi piamente raccolgono e, con timore e tremore, perpetuano.
Ma è soprattutto della veglia notturna in Piazza San Pietro che vorremmo poter dire qualcosa. Era la parte del programma che più ci impensieriva, quella piazza e le sue notti di smeraldo erano già state perturbate da altre veglie e non si sapeva se non perdurasse in quel luogo uno spirito di ribellione e di equivoco che poteva ancora operare. Amici di poca fede! All’arrivo dei pellegrini, nella loro lunghissima e fine processione, così assorta da aver già stupito tutta Roma, ogni consimile pensiero si dissolve vergognandosi di se stesso. Con questa gente di nuovo si entrava in un’altra orbita. Per dodici ore, dal tramonto all’alba, quei cristiani di tutte le condizioni sociali, dalla principessa romana alla contadina bavarese, dall’intellettuale parigino all’operaio svizzero, pregarono in un raccoglimento inaudito, i volti immutabilmente rivolti verso la tomba dell’Apostolo, totalmente soli, indicibilmente uniti, insensibili a tutto ciò che li circondava: la voce dolce e fitta delle fontane, i tentativi di caroselli importuni e beffardi, subito dispersi da una polizia sempre più deferente, indifferenti persino a quella finestra, altissima sulla piazza, che, ora illuminata ora buia, fino alle tre del mattino sembrò denunciare un’insonnia non meno pertinace del duro rifiuto. Pregavano essi, prostrati sulle pietre, gli occhi fissi al monte profetico, alla Basilica oscura donde, di quando in quando, partiva pieno e soave il rintocco dell’ora. Pregavano e la preghiera pro Pontifice concludeva ogni volta le meravigliose sequenze, gli inni sublimi con i quali e dai quali si era elevata nei secoli la soprannaturale maestà di quella piazza. Alle dieci fu intonato il canto di Compieta che tutto dispone per la notte, il cuore, la coscienza, la vigilanza delle schiere angeliche contro le potestà tenebrose in caelestibus, come avevano insegnato, appunto, i Santi Apostoli Pietro e Paolo. A mezzanotte – dopo un profondissimo e prolungato silenzio nel quale si compì il mistero della Comunione dei Santi, perché l’intenzione era di unirsi a tutte quelle famiglie che non potendo seguire il pellegrinaggio avrebbero vegliato con esso, per esso tutta la notte – a mezzanotte cominciarono le Litanie dei Santi.
Ogni nome di difensore della Fede, di custode eroico della Tradizione – dall’Arcangelo Michele a Pio X – venne replicato due volte, e poiché l’invocazione litanica è già duplice, quattro volte furono iterate nella piazza le
suppliche ad Atanasio a Nicola, a Domenico a Pio, a Giovanna a Caterina a Teresa … E il paradosso di quel popolo, supplicante instantemente per un Domnus Apostolicus che per la prima volta in duemila anni le sottraeva il pane
sostanziale della Tradizione, era senza precedenti nella storia, era il tragico enigma in venti secoli di cristianesimo ed era – in quell’austerità dei volti, senza uno sguardo all’alta finestra accesa – il miracolo di una suprema carità.
Rorate coeli desuper, et nubes pluant justum … si impetrava, e le belle voci dei sacerdoti insistevano con dolce desolazione: Vide Domine afflictionem populi tui, et mitte quem missurus es. Così la prima grande stella si dilatò ad Oriente e fu un canto che ha quattordici secoli, l’Ave Maris Stella a salutarla: l’inno
araldico di Colei che con le sue freschissime mani disperde le angosce e le insidie delle notti. La si cantò percorrendo, in una circumambulazione antichissima e tradizionale, quel colonnato di Gian Lorenzo Bernini eretto sull’antico disegno simbolico di Guglielmo Durando dove il doppio semicerchio figura le braccia dell’Apostolo crocifisso e insieme da ogni colonna è simulata una delle viventi torce cristiane che illuminarono il circo di Nerone nell’atroce notte dei Protomartiri. Persino gli svizzeri di guardia fremettero all’invocazione mattutina, cui fecero seguito le Lodi.
A questo punto le bronzee porte sbarrate dei Palazzi Apostolici erano divenute le Tavole dello Scandalo.
Ma i pellegrini, uscendo dolcemente dalle braccia protese del loro primo Pastore, non vi pensavano assolutamente più, e ciascuno saluta il giorno, sfamato della sua lunga fame, in una compiuta felicità.
Cfr. «Una Voce Notiziario», 1, 1970, pp. 1-5, ora ivi, 76-79 ns, 2000, pp. 4-7.