Don Rino Lavaroni. Ricordo dello storico cappellano della Messa in rito antico a Udine

Il giorno 15 Agosto 2024, festa in cui commemoriamo la preziosa morte, e gloriosa Assunzione al Cielo della Beatissima Vergine Maria, verso le tre del pomeriggio, circa horam Nonam (Matth. 27,46), l’ora in cui morì nostro Signore, ha reso l’anima a Dio, in pace e in preghiera, don Rino Lavaroni, all’età di ottantun’anni.

Nato a Remanzacco (Udine) il 16 Aprile 1943, entrato bambino nel Seminario di Udine, di cui assistette all’inaugurazione del nuovo palazzo nel 1956 alla presenza del card. Roncalli, ordinato sacerdote il 2 Aprile 1967, svolse il suo ministero per gran parte fuori dal Friuli: prima in Toscana, nella Diocesi di Prato, per la quale fu ordinato, poi, per trentacinque anni, negli Stati Uniti d’America, nell’Arcidiocesi di Newark: in ultimo fu parroco presso la comunità italiana del Sacratissimo Rosario in Jersey City.

Nel 2001 fu testimone dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle, forte esperienza su cui rilasciò più volte interviste.

In seguito, tornato in Italia, superò una grave malattia, cui ne succedettero altre,
sopportate cristianamente e vinte, sino all’ultima, che gli fu fatale.

Nonostante fosse rimpatriato per ragioni di salute, stabilendosi nella casa paterna di Remanzacco, e già avanzando l’età, non rinunziò al suo santo servizio di pastore.

Non solo collaborava con la sua parrocchia, e quella della vicina Cerneglons, ma
regolarmente prestava servizio in diverse realtà friulane che richiedevano il suo aiuto, presenziava a pellegrinaggi e incontrava varii gruppi di persone che si riunivano per pregare. Si rese disponibile a celebrare a Udine, avendola già rimessa in pratica nel Nuovo Mondo, la Messa in rito antico, servizio che rese per quindici anni. La Messa in latino era organizzata allora dalla Sezione Udinese dell’Associazione Una Voce nella chiesa di S. Spirito delle Ancelle della Carità. Qui don Rino cantò Messa per oltre un decennio, fino al trasferimento, nel 2022, a S. Bernardino, chiesa annessa al Seminario Arcidiocesano, dov’egli aveva ricevuto gli Ordini Minori sino al Suddiaconato, e che a suo tempo curò come sagrista e cerimoniere.

Ricordiamo l’aneddoto che il defunto Padre spesso raccontava, riguardo a come avesse ripreso a celebrare la messa nell’antico rito. Durante il suo ministero a Jersey City, la comunità che celebrava il rito tradizionale si trovò in ambasce per un’improvvisa assenza del sacerdote che avrebbe dovuto dire la Messa domenicale. Accorsero quindi da don Rino, che trovarono disponibile in breve. Gli chiesero con urgenza di celebrate la santa Messa, perché i fedeli l’attendevano e altrimenti ne sarebbero stati privati. Il caro Padre non ha saputo negarsi a una tale richiesta; era preoccupato, però, di non celebrare degnamente la vecchia Messa, dopo anni d’oblio. Conviene infatti ricordare che don Rino
visse la tradizionale liturgia in latino nella sua giovinezza, e alla sua Ordinazione
sacerdotale era in uso il rito romano riformato del 1965, che, pur in parte modificato, molto ancora manteneva dei testi e delle cerimonie antichi, e rimase in uso per meno di cinque anni, sino all’introduzione del nuovo Messale di Paolo VI. Il cerimoniere locale allora promise di guidarlo attentamente. Cominciata quindi la sacra liturgia, don Rino si ricordò man mano i gesti e le parole di quella cerimonia, che per anni aveva frequentato e servito, e d’allora si aprì una nuova prospettiva. Il rito romano antico rimase sempre nel suo cuore.

Don Rino Lavaroni canta la Messa tridentina a Jersey City.Don Rino si è sempre sentito fortemente impegnato nel suo ministero sacerdotale, sino alla fine. Amava la predicazione: a Udine teneva delle lunghe omelie, che si sentiva essere molto personali, nelle quali non solo esprimeva chiaramente i valori cristiani di sempre, ma li arricchiva di spiritualità vissuta, e rendeva gli ascoltatori partecipi dell’esperienza di cui aveva fatto tesoro. Trasmetteva una spiritualità semplice e intensa, accessibile a tutti gli uomini di buona volontà, sì come é universale la chiamata di Cristo alla santità. Pure
illustrando bene le ricchezze della fede, non si esprimeva con barocchismi di linguaggio o di ragionamento, ma soprattutto si teneva lontano dalle vuote parole e dalla debolezza di pensiero, di cui oggi tanto facilmente si accusano i preti, e dall’ipocrisia, che non aveva timore di criticare.

Egli, però, si segnalava sopra tutto per la grande disponibilità. Era pronto ad andare dove lo avessero chiamato, se le forze glielo consentivano; non negava mai una confessione, perché sapeva che con Dio, per il pentimento e la grazia, non esistono orarii; ben volentieri riceveva i fedeli che volevano scambiare delle parole o chiedevano benedizioni. La volta che si negava, era perché aveva già preso un impegno con altri. A casa sua passava continuamente della gente, o perché richiedevano del suo aiuto, o perché gli volevano bene portandogli vivande fresche, che aveva piacere di condividere, o per dargli una mano con i tanti piccoli lavori di cui necessita una casa.

Don Rino amava sopra tutto il santo sacrificio della Messa. Chi è venuto alle messe «tridentine» a Udine, ha visto don Rino anche salire all’altare a fatica, negli ultimi tempi, reggendosi a un bastone, quando nemmeno lui credeva che ce l’avrebbe fatta: non dubitiamo che il Signore gli abbia reso in qualche momento la forza dell’antica giovinezza per quelle parole Introibo ad altare DeiAd Deum, qui lætificat juventutem meam etc., che si recitano all’inizio della Messa, pur nell’estrema sua vecchiaia. Quelle parole, poste coll’intero salmo 42 al principio di ogni s. Liturgia da Pio V nel 1570, uniformando la consuetudine medievale di recitarle in privato prima del rito, significano l’eterna giovinezza
in Dio dei servi a lui fedeli, che sarà vissuta perfettamente solo in Cielo. Si é visto, pure, il caro trapassato Padre più volte cantar Messa con cappotto e sciarpa sotto i paramenti in una chiesa gelata dal freddo invernale: egli sapeva che, a suo tempo, era l’unica risorsa della Messa in rito antico e ha compiuto ogni sforzo per tale apostolato, così come per aiutare il prossimo, sino quasi a star male. Come potranno non andare a lui i nostri suffragi, e noi non preservare la sua memoria nelle nostre preghiere?

Contuttociò si aggiunge ch’egli era persona amabile e aveva sempre il sorriso per un viso nuovo o un vecchio amico, una carezza per ogni bambino. Apprezzava l’arte e la bella musica.

Ora che è morto tante persone ne sentiranno la mancanza, ma negli ultimi giorni esse hanno fatto sentire a lui la loro vicinanza. All’ospedale la sua stanza é stata continuamente visitata da tanti amici, o, per meglio dire, figli, accolti con cordialità, e un fil di voce. Anche se non riusciva quasi a parlare, persino il giorno prima di morire dava i suoi consigli, citava le ss. Scritture, e pregava incessantemente: è stato edificante per chi gli stava attorno. Tra le sue ultime parole vi sono state, oltre all’esortazione alla carità verso tutti, quelle di s.
Paolo, che egli aveva fatto suo motto: Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi (II Tim. 4, 7). Ho combattuto la buona battaglia, ho compiuto la mia carriera, ho conservato la fede.

Don Rino ha dimostrato la sua devozione alla Messa in latino anche in morte, facendosi seppellire rivestito dei paramenti tradizionali del rito antico.

Vegliato per tutta la notte e tumulato nella tomba di famiglia nel cimitero di Remanzacco, dopo partecipatissime esequie, speriamo ora che il sacerdote di Dio abbia la sua ricompensa in cielo, considerando quanto ha donato ai mortali su questa terra.

Vogliamo quindi aggiungere, parafrasando il seguito della citata lettera paolina, che, per quel che resta, è pronta per lui la corona della giustizia, che gli darà in quel giorno il Signore, il giusto giudice, e non solo a lui ma a tutti quelli che amano la sua venuta.

In reliquo deposita est mihi corona justitiæ, quam reddet mihi Dominus in illa die, justus judex: non solum autem mihi, sed et iis, qui diligunt adventum ejus (II Tim. 4, 8).

Una Voce Udine

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