Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 9-10
[Nei tempi di mezzo]
IX. Coi quali testi delle Divine Scritture non solo si prova, essere dal Testamento Vecchio passata a noi la funzione della consecrazione della chiesa, ma altresì esser affatto ingiusta la derisione che si fa di questo rito da Calvino nel lib. 3 delle Istit. al cap. 20 particolarmente col fondamento, che siccome le muraglie, essendo inanimate sono incapaci di ricevere la grazia, così lo sono di ricevere la consagrazione; consacrandosi la Chiesa materiale per rappresentare la santificazione, che ha acquistata la chiesa formale, cioè i fedeli, per la passione di Gesù Cristo, come ben riflette s. Tommaso nella 3ª part. alla quest. 83 art. 3 Ad secundum.
X. Sin qui si è parlato de’ primi secoli della Chiesa. Ed ora facendo breve passaggio ai tempi di mezzo, diremo, che fu uniforme la disciplina di questi alla disciplina di quelli, avendo anche l’ecclesiastiche costituzioni proibito ne’ tempi di mezzo il celebrar le messe fuori delle chiese eccettuato il caso della necessitù, e volendo ancora, che in questo caso si celebrassero sopra le pietre consacrate dal vescovo. Se ne possono vedere le prove nello Spicilegio di Luca Dacherio al tom. 1 pag. 403, nel Sirmondo al tom. 2 dell’ultima stampa pag. 668, 669, nel Tommasino alla part. 1ª lib. 2 cap. 25 num. 2 e seguenti, nel tomo 10 della Storia ecclesiastica del Fleury pag. 264, e nel tom. 5 della Storia della Chiesa gallicana del Longueval alla pag. 315 e pag. 374. Ne’ tempi da noi non tanto remoti si pensò di levare l’uso di celebrare le messe nelle case private, ossia nelle cappelle delle medesime, come si vede nelle conferenze dei tre insigni cardinali e cinque dotti prelati, deputati da Paolo III per la riforma della Chiesa: i pensieri de’ quali sono riferiti nel tom. 18 della continuazione della Storia ecclesiastica del Fleury, ove alla pag. 167 è registrato l’articolo, di cui si parla. Ma l’affare dipoi terminò, come vedrassi nella sezione seconda, con levare ai vescovi l’autorità di conceder la licenza di dir la messa negli oratorii delle case private, riservandola al sommo pontefice e togliendo in questo modo di mezzo gli abusi, senza schiantare, come si suol dire, la radice: non essendo cosa incognita all’antichità anche più severa il celebrar la messa negli oratorii delle case private, raccontando s. Paolino nella Vita di s. Ambrogio, che mentre s. Ambrogio era in Roma, invitato da una nobile matrona, che abitava nel Trastevere, andò a dir la messa nella di lei casa; ed essendovi nel sagramentario gallicano stampato dal P. Mabillon nel tom. 1 del suo Museo Italico alla pag. 364 l’orazione da dirsi nella messa, che celebravasi in domo cuiuslibet. Illustre è l’esempio che si ricava dal lib. 5 lettera 43 di s. Gregorio. Il vescovo di Siracusa non aveva voluto ricevere l’oblazione di certo Venanzio, né permettere, che si celebrasse la messa nella di lui casa: ed il santo pontefice l’esorta a ricevere l’oblazione ed a lasciare, che si dica la messa nella di lui casa, anzi d’andarvi egli stesso a celebrarla per un segno di pubblica riconciliazione: “Et in domo ipsius missarum peragi mysteria permittatis aut sicut scripsimus, si fortasse voluerit, per vos debeatis accedere, et celebrando apud eum missam priorem gratiam reformare”. Parlano i teologi della consacrazione della chiesa e ne assegnano anche la ragione, dicendo, che il luogo deve essere proporzionato al ministero, a cui è deputato e che essendo deputate le chiese de’ cristiani al sacro ministero, cioè al sacrifizio della messa, ed ai divini offici, è perciò conveniente, che siano consacrate, veggasi la Conferenza 16 di Lucon alla part. 5ª pag. 558 e seguenti.
Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 11-12.