Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 13
[«Habemus altare, de quo edere non habent potestatem, qui Tabernaculo deserviunt»]
XIII. Fassi menzione dell’altare anche nel Testamento nuovo, cioè nel cap. 13 dell’Epistola di s. Paolo agli Ebrei: «Habemus altare, de quo edere non habent potestatem, qui Tabernaculo deserviunt». I sacri interpreti riferiti e seguitati dal P. Cornelio a Lapide nel luogo citalo al vers. 10 spiegano il testo dell’Apostolo nel modo seguente: abbiamo un altare, nel quale offeriamo il sacrifizio del corpo e del sangue di Cristo, immolato già nella Croce: del qual sacrifizio non partecipano né i Leviti né i Giudei, ma i sacerdoti ed i fedeli cristiani, mentre prendono la santa Eucaristia. L’Estio, seguitando s. Tommaso, interpreta la parola Altare, che significhi la croce di Cristo, o lo stesso Cristo: At vero sanctus Thomas, altare hoc intepretatur crucem Christi, vel ipsum Christum, de quo altari edere, inquit, est fructum passionis Christi percipere, et ipsi tamquam capiti incorporari». Noi non prenderemo partito né per l’una né per l’altra delle dette spiegazioni, ma francamente diremo, farsi espressa menzione dell’altare in s. Matteo al cap. 5: «Si ergo offers munus tuum ad altare, et ibi recordatus fueris, quia frater tuus habet aliquid adversum te, relinque ibi munus tuum ante altare, et vade prius reconciliari fratri tuo, et tunc veniens offeres munus tuum»: testo che non ammette chiosa, conforme riflettono i dotti Walenburg nelle loro Controversie al tom. 2 cap. 39, e non esservi veruna liturgia, in cui non sia indicata la tavola sopra la quale si celebra, non esservi veruna liturgia, in cui questa tavola non sia chiamata vero altare, offerendosi in essa un vero sacrifizio a Dio, come con vasta ed incomparabile erudizione comprova il P. Lebrun nel suo tomo 3 sopra la Messa alla pag. 576 e seguenti, ed essere la consagrazione degli altari, conforme è quella delle chiese, antichissimo rito apostolico, come anche osserva il Pouget nelle sue Istituzioni cattoliche al tomo 2 della stampa di Parigi del 1725 pag. 906. E quantunque Origene, Minuzio Felice, Arnobio e Lattanzio, rispondendo ai gentili, che opponevano a noi cristiani, che non avevamo altari, dicessero che ciò era vero; cosa certa però si è, che essi intesero degli altari eretti per adorarvi gli idoli, o degli altari, nei quali si offerivano sacrifizi sanguinosi, come ingenuamente confessa il Binghamo benché autore critico nelle sue Origini ecclesiastiche al tom. 3 pag. 224 e seguenti: «Obiicit nobis Celsus, quod non habeamus imagines, aut aras, aut templa»: diceva Origene nel lib. 4 contra Celsum. Apresso Minuzio Felice in Octavio, Celso oppone ai Cristiani: «Cur nullas aras habent? Templa nulla? Nulla nota simulacra?» E Arnobio scrivendo contro le genti al lib. 6 dice: «Accusatis n0s, quod nec templa habeamus, nec imagines, nec aras». Ed il fatto era verissimo; mentre i cristiani non avevano gli altari, come avevano i gentili, dedicati ai falsi numi. E che la cosa fosse così, e che dall’aver conceduto i nostri di non avere gli altari, non possa inferirsi, che non avessero gli altari, nei quali offerivano a Dio il sacrifizio eucaristico, chiaramente si dimostra; mentre quegli stessi Padri che concessero ai gentili, che i cristiani non avevano altari, trattando della mensa nella quale si fa il corpo di Cristo, non lasciarono di far menzione degli altari, come ben riflette il P. Lamy nel lib. 6 De templo Hierosolymitano al cap. 3 sez. 1. Al quale aggiugneremo ancora il Frassen nel tom. 11 della sua Teologia stampata in Roma alla pag. 339. Di Luciano martire si legge, che si servì del proprio petto per altare in prigione per celebrare la messa; e di Teodoreto, che si servì delle mani de’ Diaconi per altare, per fare lo stesso. Ma questi sono esempi da ammirarsi, non però da imitarsi: e la costante disciplina della Chiesa è mai sempre stata uniforme nel volere, che la messa si celebri sopra l’altare. Esclama Ottato Milevitano al lib. 6 contro il furore dei Donatisti, che avevano rovesciati gli altari dei cattolici, e così scrive: «Quid est enim altare, nisi sedes et corporis et sanguinis Christi? Haec omnia furor vester aut rasit, aut flegit, aut removit, etc. Si livoris judicio nos vobis sordidi videbamur, quid vobis fecerat Deus, qui illuc invocari consueverat ? Quid vos offenderat Christus, cuius illic per certa momenta corpus et sanguis habitabat? Quid vos offendistis etiam vos ipsi, ut illa altaria frangeretis, in quibus ante nos per longa temporum spatia sancte, ut arbitramini, obtulistis? Dum impie persequimini manus nostras illic, ubi corpus Christi habitabat, feritis et vestras. Hoc modo Iudaeos estis imitati. Illi iniecerunt manus Christo in Cruce: a vobis percussum est in altari. Si Catholicos illic insectari voluistis, vel vestris illic antiquis oblationibus parceretis».
Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 13-15.