Per la prima volta – se non erriamo – nella storia della Chiesa, la Santa Sede ha corretto, a meno di un anno dalla sua apparizione, un documento pontificio ufficiale. Si tratta del sinistro paragrafo 7 della Institutio generalis che apre il nuovo messale di Paolo VI, pubblicato nell’aprile 1969. Questo paragrafo, nella edizione del marzo 1970, è radicalmente trasformato. Poiché esso contiene la definizione stessa della messa, non sarà difficile misurare l’importanza della trasformazione. Vittoria grandissima dei Cardinali Ottaviani e Bacci e della Fondazione «Lumen Gentium», le cui critiche al nuovo messale si sono mostrate così pienamente giustificate, contro il parere di tutti quei cattolici per i quali l’obbedienza è divenuta una droga e che sostenevano l’illegittimità delle osservazioni dei Cardinali.
Diamo qui sotto le due definizioni; l’originale era questa:
N. 7 [versione 1969]: «La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII 20)».
Ed ecco la seconda definizione (le sottolineature sono nostre):
N. 7 [versione 1970]: «Alla messa, o cena del Signore, il popolo di Dio si raduna sotto la presidenza del sacerdote che rappresenta il Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico. Per conseguenza per questa assemblea locale della Santa Chiesa vale la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII 20). In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche».
La differenza dei due testi è capitale: nulla più, nulla meno che una differenza di religione.
Purtroppo, sulla definizione originale («che non contiene alcuna delle premesse dogmatiche essenziali alla Messa e ne costituiscono pertanto la vera definizione, sicché una tale omissione volontaria significa il loro “superamento” e, almeno in pratica la loro negazione», secondo l’Esame Critico di Ottaviani e Bacci), su quella definizione è costruito l’intero messale paolino. E quel messale resta immutato.
Ma la vittoria dei Cardinali sul paragrafo 7 è la dimostrazione che: 1) è pienamente lecita la critica là dove fede e tradizione siano in gioco; 2) è pienamente lecita la richiesta di correzione dei testi che diano adito a tali critiche; 3) tali critiche e richieste di correzione non sono soltanto legittime ma utili.
Non si cesserà quindi di criticare, nelle forme dovute, il messale paolino, costruito, da capo a fondo sull’articolo 7 qual era nella sua forma originale.
Ma, più essenzialmente, non si cesserà di reclamare la conservazione della vera Messa cattolica, quella tridentina, e di celebrarla o farla celebrare ovunque, sine intermissione.
Cfr. «Una Voce Notiziario», 2, 1970, pp. 3-4.