In Inghilterra
la Messa tridentina
Nel precedente Notiziario (Dicembre 1971, p. 11) abbiamo riferito la notizia apparsa sul Times di Londra del 2 dicembre 1971, riguardante il riconoscimento espresso da S. S. Paolo VI al Cardinale Arcivescovo di Westminster per la celebrazione della Messa tridentina nei territori di Inghilterra e del Galles. Siamo ora in grado di far conoscere il testo delle lettere scambiate in merito tra il Cardinale Heenan e il Presidente della Latin Mass Society. Le lettere sono rispettivamente del 22 e 28 Novembre 1971.
Caro Signor Houghton Brown,
nell’ultima Assemblea dei Vescovi ho loro comunicato di aver avuto una Udienza privata accordatami dal Papa Paolo VI. Ho espresso al Papa il mio rincrescimento per il fatto che alcuni cattolici, contrari alla riforma liturgica, abbiano parlato del Santo Padre in maniera irriverente. Gli ho detto, tuttavia, che provavo simpatia per quei cattolici che, pur accettando le riforme, sentono una certa nostalgia per l’antico rito. Il Papa non ha trovato irragionevole questo atteggiamento e non intende proibire assolutamente l’uso occasionale del Messale Romano (secondo il Decreto del 1965 emendato nel 1967), purché sia evitato ogni pericolo di divisione.
Signor Cardinale,
ho mostrato la Vostra lettera al Comitato della nostra Associazione, che è molto riconoscente per l’interessamento con cui Vi siete adoperato in Roma a proposito del Messale Romano.
Tuttavia, il Comitato si è grandemente meravigliato del contenuto di questa lettera. Noi speriamo che Vostra Eminenza non abbia espresso alcun rammarico nei confronti della «Latin Mass Society» come se avesse parlato del Santo Padre in maniera irriverente; infatti questa Associazione si è sempre espressa verso Sua Santità con il rispetto che i cattolici romani devono avere per il Vicario di Cristo.
Signor cardinale, l’opinione di questa Associazione è che l’uso del Messale consuetudinario non può essere interdetto. Il Papa non ha mai abrogato la bolla «Quo primum», né il diritto perpetuo che essa concede ai sacerdoti di utilizzare, in pubblico come in privato, la Messa «tridentina» o il Messale Romano.
La nostra associazione è molto riconoscente a Vostra Eminenza per averci fatto sapere che Voi siete completamente d’accordo per autorizzare l’uso del Messale Romano nelle chiese della diocesi di Westminster in particolari occasioni. Vostra Eminenza può essere certa che l’Associazione si adopererà perché l’uso del Messale Romano diventi il più frequente possibile. – Io sono, Signor Cardinale, il Vostro servitore obbediente …
Le due lettere hanno valore considerevole per quello che dicono e per quello che sottintendono, soprattutto quella del Cardinale Heenan. esse meritano dunque un breve commento.
a) L’Arcivescovo di Westminster ha senza dubbio il grande merito di avere affrontato e avviato a soluzione – dimostrando una sollecitudine pastorale che gli fa onore tra tanto pastoralismo vacuo, verboso e spesso fazioso – un grave problema dolorosamente vissuto da una non trascurabile porzione del suo gregge. Anche se può essergli dispiaciuta qualche intemperanza di linguaggio da parte di alcuni fedeli – cosa ben spiegabile, anche se reprensibile, nello stato di «autodemolizione» in cui versa la Chiesa – egli non tace al Pontefice la sua simpatia per queste anime afflitte e di provata fedeltà alla dottrina e al culto cattolici. E’ molto probabile, del resto, che il discorso del Cardinale al Vicario di Cristo non si sia limitato a quest’unico aspetto della questione, cioè alla «querelle» tra partigiani del «nuovo» e del «vecchio» Rito. E’ noto che in Inghilterra, come del resto in tutti i Paesi di confessione mista, l’abbondante rivolo di conversioni al cattolicesimo si è terribilmente ridotto fino a esaurirsi, e non si può certo dire che lo spirito «ecumenico» del «Novus Ordo» possa riaprire ed alimentare la sorgente. Chi si convertiva cercava ben altro! Stando così le cose, perché dunque non permettere il ritorno al vecchio Rito tridentino, a quella Messa che, con il suo volto inequivocabilmente cattolico era di fatto il richiamo e la via normale per il riabbraccio con l’unica vera Chiesa?
b) Di capitale importanza sono le parole con cui il Cardinale riferisce il pensiero del Santo Padre: «The Pope did not regard this attitude as unreasonable and would not absolutly forbidden use of Roman Missal». Da queste brevi e semplici parole, sul cui valore sostanziale non si può dubitare data l’autorità del Referente «omni exceptione maior», segue più di una conseguenza:
– Il Papa, cioè il Legislatore, consentendo, o approvando le varie Istruzioni pubblicate in questi anni dalla Commissione liturgica postconciliare e dalla Congregazione per il Culto Divino, e con la stessa Cost. Ap. «Missale Romanum», non ha inteso mai «abrogare» la Messa tradizionale. Non può il Legislatore ritenere «ragionevole» l’atteggiamento dei cattolici che reclamano il mantenimento del vecchio rito e, al tempo stesso ritenerlo «abrogato». Ché, se non lo ritiene abrogato, la ragione si è che non l’ha voluto abrogare.
– Questa ovvia interpretazione, del resto, è in perfetta armonia con la nuova legislazione liturgica, nella quale, in nessun luogo, è contenuta l’abrogazione esplicita, altrimenti necessaria (c. 30 del C. J. C.).
– Un’altra ragione per ritenere non abrogata la Messa tradizionale è implicita nel carattere stesso dell’attuale legislazione liturgica (e non liturgica), che si è voluta «sperimentale» e che tale si va dimostrando (Cfr. Motu Proprio «Ecclesiae Sanctae», AAS, 1966, pp. 757-8). In tale situazione stranissima, inaudita nella Chiesa, aliena per istinto da ogni forma di sovversione, come non potrà il cristiano legittimamente non richiamarsi all’«usus» e all’«auctoritas» dei secoli, al «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus factum est»? Egli sa che in un tale stato di confusione, assai spesso caotica, della nuova legislazione, quella antecedente gode di una presunzione di diritto. Infatti il c. 23 del C. J. C., che consacra precisamente l’ordinato e coedrente svolgimento del Diritto, stabilisce che «In dubio revocatio legis praeexistentis non praesumitur, sed leges posteriores ad priores trahendae sunt et his, quantum fieri potest, conciliandae».
c) Purtroppo i Vescovi, cioè le Conferenze episcopali che li tiranneggiano attrraverso le varie commissioni pastorali-liturgiche, continuano praticamente a considerare «irragionevole» ciò che il Papa dichiara «ragionevole», e si ostinano a impedire ai sacerdoti che lo domandano quello che di fatto dovrebbe essere il riconoscimento di un diritto nativo e inalienabile. Ha fatto bene il Presidente della Latin Mass Society, il quale, pur ringraziando il Cardinale di aver provocato la manifestazione di come la pensa il Papa e di aver condotto a buon fine l’affare, tiene a far sapere che l’ «uso del Messale consuetudinario non può essere interdetto», perché «il Papa non ha abrogato la bolla Quo primum», né il diritto perpetuo che essa concede ai sacerdoti di utilizzare, in pubblico come in privato, la Messa «tridentina» o il Messale Romano.
d) Resta la questione dell’uso «occasionale», cui l’esercizio del diritto viene per ora limitato. Ma è chiaro che si tratta di una limitazione transitoria, come si può facilmente arguire dalla ragione che ha suggerito la stessa limitazione, cioè il timore di divisione tra i cattolici. È un fatto, purtroppo, che il nuovo Rito – e si sa come – è diventato di uso comune nella Chiesa. Ma è anche un fatto, ogni giorno più verificabile, che esso, per dinamica intrinseca e i principi che lo sostentano, si va corrompendo e moltiplicando in altri innumerevoli riti, i quali, non raramente, di Messa non hanno che l’invereconda pretesa. Sarà dunque la forza stessa delle cose – cioè l’anarchia finale promossa ineluttabilmente dal pluralismo liturgico – a promuovere la «restitutio in integrum» dei valori perduti. È interesse di tutti, ma particolarmente della Gerarchia, di affrettare quel giorno. Noi sappiamo che quando le questioni di sovrana importanza per il «bonum Ecclesiae» vengono al pettine di Roma, la Chiesa madre non transige. La recente questione del Celibato sacerdotale – questione del resto così intimamente legata alla questione della Messa, di quale Messa – ne è una riprova. Nel frattempo è assolutamente necessario che i buoni sacerdoti si sveglino, che i buoni laici «opportune importune» supplichino fino alla molestia i loro Pastori, affinché permettano ciò che carità e saggezza impongono come sacrosanto dovere.
e) E’ superfluo far rilevare che la causa dichiarata della richiesta fatta dal Cardinale al Pontefice («a certain nostalgia for the old rite»), non può ritenersi la vera causa «motiva» e, forse, neppure «impulsiva» sia del quesito sia del «responsum» pontificio. Essa è stata probabilmente messa avanti per giustificare in qualche modo l’esercizio limitato del diritto, cioè, di celebrare «in speciali occasioni». Si può infatti argomentare: se al Papa è bastato di sapere che «alcuni» dei suoi leali e obbedienti fedeli sentono nostalgia per il vecchio Rito per «dichiarare» ragionevole il loro atteggiamento, cosa non avrebbe Egli detto e fatto se Gli fosse stato dichiarato tutta intera la verità, cioè, che quei suoi servi fedeli e obbedienti sono «moltissimi», e che la loro «nostalgia» è quella dei figli di Sion, che sulle rive dei fiumi di Babilonia piangono il Tempio distrutto! Fuori parabola: tutti sanno, e il Cardinale Heenan, uomo intelligente e arguto quant’altri mai, molto più degli altri, ciò che si nasconde dietro a quella «nostalgia». La santa Messa, infatti, non è, e non può dipendere da un vago sentimento, e tanto meno venir considerata alla stregua di uno «snob» e un «hobby» qualunque.
Concludendo: la situazione è delicata e decisiva. Occorre informarsi, istruirsi, scrivere e parlare responsabilmente, agire con forza e consapevolezza, nam virtus tota in actione consistit. Ma occorre soprattutto pregare. Non è senza significato il fatto che il primo spiraglio di luce sia venuto dall’Inghilterra, dalla quale 40 martiri tra sacerdoti e laici, canonizzati recentemente da Paolo VI, invitano a una fedeltà senza compromessi alla Chiesa Madre di Roma. L’episcopalismo delle Conferenze nazionali, grazie a un’equivoca concezione della «collegialità», impedisce oggi lo svolgimento normale del diritto e turba l’ansia di unità della Chiesa. E’ necessario pertanto che i cattolici fedeli da ogni parte dell’Orbe fidenti guardino all’Urbe.
Cfr. «Una Voce Notiziario», 8, 1972, pp. 10-12.