Il corretto atteggiamento del corpo nella Liturgia, di Klaus Gamber

Fino a cinquant’anni orsono, e in molti luoghi fino a oggi, i cattolici  usavano stare in ginocchio durante l’intera celebrazione della santa messa, con l’eccezione del Vangelo, alla lettura del quale si stava in piedi, e della predica che si ascoltava seduti. In genere erano solo i ritardatari che restavano in piedi per tutta la durata della funzione, fermandosi presso la porta della chiesa.

Nel servizio evangelico, ove come è noto il momento centrale è dato dalla predica, e che non intende essere una celebrazione sacrificale, i fedeli in genere siedono anche durante il resto della liturgia, cantando tutti insieme i canti del giorno. Ci si alza solo al termine per la recita comune del Padre nostro e la benedizione del pastore. Lo stare in ginocchio, a eccezione del momento in cui ci si accosta alla “cena”, è sconosciuto ai protestanti: esso è tipicamente cattolico.

Nelle chiese ortodosse orientali le cose stanno diversamente. Qui l’atteggiamento liturgico fondamentale è da sempre lo stare in piedi, tanto è vero che nelle chiese si trovano pochissimi banchi per sedersi. Questi sono collocati lungo le pareti laterali, come da noi gli stalli corali nelle chiese dei monasteri e nelle cattedrali, e sono riservati soprattutto alle persone anziane. In oriente le funzioni liturgiche durano sempre parecchio, come minimo un’ora buona e di solito ancor di più: ciò nonostante i fedeli vi partecipano in piedi.

Qui inginocchiarsi sul nudo pavimento o prostrarsi al suolo lunghi distesi è un segno di preghiera fervente o di penitenza. Al pari che da noi, lo si può vedere soprattutto nei santuari che sono meta di pellegrinaggi. Anche nell’entrare nella Casa di Dio molti fedeli si prostrano per terra in adorazione, come dice il Salmo 94,6: “Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati”. Purtroppo da noi la genuflessione quando si entra in chiesa va sempre più scomparendo.

Ora ci si chiederà: com’era nella Chiesa antica? non sedevano forse i fedeli attorno all’altare, al pari degli apostoli all’Ultima Cena?

No, anche allora si partecipava alla liturgia stando in piedi. Nelle basiliche paleocristiane non esisteva la possibilità di sedersi. Come poi mostra un mosaico del XII secolo, che si trova nella basilica di S. Marco a Venezia, fin nel medioevo, durante la preghiera sacrificale del canone della messa, si usava alzare le mani insieme con il sacerdote. Questo però non avveniva in modo estatico e allungandosi verso l’alto, come fanno oggi i pentecostali, bensì in atteggiamento modesto. Ciò dovrebbe rendere evidente come il sacerdote non offra il sacrificio da solo, ma lo faccia insieme con i fedeli.

Dell’alzare le mani parla Paolo, quando scrive nella prima lettera a Timoteo (2,8): “Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo le mani pure senza ira e senza contese”.

Nell’antichità cristiana si stava in piedi anche per ricevere la santa comunione: i fedeli si mettevano in fila, come mostrano le antiche raffigurazioni della “Comunione degli apostoli”, in atto di adorazione, vale a dire con atteggiamento devoto.

Anche nella Chiesa primitiva in verità si usava piegare le ginocchia, come quando Luca negli Atti degli apostoli (21,5) narra di Paolo: “Tutti ci accompagnarono con le mogli e i figli sin fuori della città. Inginocchiati sulla spiaggia pregammo…”; oppure quando Paolo scrive nella lettera agli Efesini (3,14): “Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre di nostro Signore Gesù Cristo…”.

La questione che a noi interessa in concreto è la seguente: quale posizione del corpo si adotta oggi nella liturgia?

L’ideale è attenersi – come il più delle volte ritorna ad avvenire oggi – all’uso della Chiesa antica, ove stare in piedi era l’atteggiamento liturgico fondamentale. Lo star seduti – a parte il caso delle letture e della predica – dovrebbe essere lasciato ai fedeli anziani. Questi ultimi in ogni caso non debbono essere spinti a conformarsi alla posizione degli altri, come di massima va evitato ogni regolamento rigido a questo riguardo.

Ma deve essere uno stare in piedi con modestia, con la consapevolezza di stare davanti a Dio. Un tale atteggiamento è in pari tempo ascesi del corpo, e innalza lo spirito, cosa che non si ottiene altrettanto facilmente col sedere comodamente, magari accavallando le gambe.

Il movimento giovanile degli anni venti ha riscoperto lo stare in piedi come atteggiamento liturgico: alla celebrazione della messa comunitaria i suoi aderenti evitavano di trattenersi nei banchi. Se le circostanze lo consentivano, si ponevano invece direttamente davanti all’altare, nel caso che non si avesse a disposizione una cappella laterale oppure, questo era l’ideale, una cripta (senza banchi).

I giovani se ne rendevano conto: la messa non è la stessa cosa di un pio esercizio, al quale ci si inginocchia, ma neppure una rappresentazione teatrale, cui si assiste comodamente seduti. La messa è la celebrazione del sacrificio eucaristico, e come tale esige un atteggiamento corrispondente.

Che alle letture e alla predica si possa sedere dovrebbe risultare chiaro per chiunque. Chi frequenta la messa in Russia non ha tale comodità. Come si è detto qui nelle chiese non vi sono banchi, e non vi sono anche per un particolare motivo, per consentire che nel numero limitato di chiese aperte possa partecipare alla liturgia il maggior numero possibile di fedeli. Per tutto il corso della funzione essi stanno fittamente accalcati, tanto che in Russia è diffuso il modo di dire: “Qui è stretto come in chiesa”.

Fin dalle origini, già lo si è detto, inginocchiarsi è espressione di fervente supplica, ma è anche segno di adorazione. Davanti al Santissimo esposto oppure quando viene trasportato solennemente, per esempio alla processione del Corpus Domini, secondo possibilità bisognerebbe inginocchiarsi. In pubblico questo è anche una testimonianza di fede.

E a nessuno si dovrebbe impedire di inginocchiarsi per ricevere la comunione, secondo l’uso vigente da noi fino a un recente passato. Questa posizione è in ogni caso accettabile, e ha contribuito di molto a che i fedeli si accostassero con profondo rispetto all’eucaristia. Tuttavia se oggi sia opportuno come singoli comunicarsi in ginocchio è altra questione.

Di massima bisognerebbe, se possibile, adattarsi alla posizione degli altri fedeli, anche se non la si consideri corretta. D’altra parte però nessuno dovrebbe essere obbligato ad assumere una determinata posizione. Come è bello che tutto sia fatto in comune, così è altrettanto importante tollerare il punto di vista o l’abitudine dell’altro.

(Titolo originale: Die richtige Körperhaltung im Gottesdienst, in Fragen in die Zeit. Kirche und Liturgie nach dem Vatikanum II, Regensburg, Pustet, 1989, 132-134. Traduzione italiana di Fabio Marino)

da «Una Voce Notiziario», 106-107 (1993), pp. 8-9.

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