18 Gennaio.
SANTA PRISCA VERGINE E MARTIRE
Stazione al «titulus Priscae».
La festa più recente della Cattedra di san Pietro in Roma, venne introdotta nell’odierno Messale da Paolo IV sotto l’influenza delle tradizioni liturgiche gallicane. Essa ha fatto passare in seconda linea il natale di santa Prisca, titolare d’una delle più antiche basiliche dell’Aventino, e la cui messa già ricorre nel Sacramentario Gregoriano e in tutti i calendari romani del medio evo. Gli antichi itinerari dei pellegrini additavano la primitiva tomba della Martire nel cimitero di Priscilla, sulla via Salaria. In seguito però, al tempo cioè delle grandi traslazioni dei corpi santi nell’interno della Città, le sacre Reliquie di Prisca, in grazia forse dell’omonimia colla titolare della basilica sull’Aventino, vennero colà trasferite, senza tuttavia che possa dimostrarsi alcuna relazione tra la Prisca martire del iii secolo, l’omonima moglie di Aquila di cui è memoria negli Atti degli Apostoli, e finalmente l’altra Priscilla titolare del cimitero Priscilliano. Si tratta di due, o di tre Prische o Priscille? Il fatto non è punto isolato; anzi in Roma molte volte l’0monimia che correva tra i fondatori degli antichi titoli urbani e i Martiri dei cimiteri suburbani, è stato il motivo che nel IX secolo ha determinato i Papi a trasferire le Reliquie di questi ultimi nelle basiliche fondate dai loro omonimi. E’ cosi che il titulus Balbinae, dopo la traslazione del corpo dell’omonima Santa, è divenuto il titulus sanctae Balbinae; il titulus Sabinae, quello di sanctae Sabinae; l’altro di Prisca, il titulus sanctae Priscae, e così in molti altri casi.
Narra Eadmero nella vita di sant’ Anselmo, che essendo stata aperta in Roma l’arca col corpo di santa Prisca, Wala vescovo di Parigi ne impetrò una parte del cranio, di cui concesse anche un frammento al biografo del santo Dottore. Ma essendosi questi lamentato perché gli sembrava troppo piccolo, sant’Anselmo gli disse: Custodisci gelosamente il tuo tesoro, e sta pure sicuro che nel giorno della resurrezione la Martire per tutto l’oro del mondo non vorrà punto rinunziare a riprendersi l’osso, che tu ora hai impetrato.
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Nel medio evo, il titolo di Prisca unì a questo nome pure l’altro di Aquila, cosicché nel Liber Pontificalis vien chiamato Titulus beatorum Aquilae et Priscae. Ad ogni modo, è da distinguere la Prisca martire del cimitero di Priscilla, ricordata oggi nel Geronimiano: Romae, via Salaria, Priscellae, dalla Priscilla moglie di Aquila e discepola di san Paolo, che visse quasi due secoli innanzi.
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La messa, tranne le collette, è identica a quella di santa Bibiana il giorno 2 dicembre.
Le orazioni seguenti già si trovano nel Sacramentario d’Adriano.
Preghiera. – «Fa, o Signore, che celebrando noi quest’oggi il natale della tua beata vergine, la martire Prisca, non ne festeggiamo soltanto l’annua solennità, ma ci sia altresì proficuo l’esempio di una fede così inconcussa».
Ecco il frutto che dobbiamo ricavare dalle feste dei Martiri: la fortezza cristiana, per vivere conforme alla santità del nostro battesimo; così che tutta la vita sia una confessione, se non cruenta, almeno aspra e dolorosa del Vangelo di Cristo.
Il Vangelo tratto da san Matteo, (xiii, 44-52) si trova già indicato nella lista di Würtzburg.
Preghiera prima dell’anafora: «Quest’ostia che ti offriamo, o Signore, nella ricorrenza natalizia dei tuoi Santi, sciolga i lacci della nostra malizia, e c’impetri la grazia della tua misericordia».
Preghiera dopo la Comunione: «Collo spirito ripieno del Mistero della salute, noi ti preghiamo, o Signore, che ci aiuti colla sua intercessione Colei di cui oggi celebriamo la solennità».
Ecco il bell’effetto della comunione dei Santi. Noi in terra baciamo i loro sepolcri, e sulle loro ossa sacrate offriamo l’Eucaristia in loro memoria, ed essi in cielo perorano la causa dei loro fratelli minori, e divengono nostri avvocati.
Quanto è mai sublime la vocazione del martirio! Che felice cambio, quello di dare un resto di miserabile vita, per conseguire la vita vera, indefettibile, di Dio! Che felicità suprema, quella di chiudere gli occhi alle miserie del mondo, per risvegliarsi un istante dopo nella Gerusalemme celeste, ed inebriarsi alle sorgenti stesse della
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beatitudine divina! La Chiesa ripone una ferma fiducia nell’intercessione dei Martiri, perché essi avendo dato tutto a Dio, senza riserva alcuna, possono tutto sul di lui cuore.
Nello stesso giorno.
CATTEDRA DI S. PIETRO, QUANDO LA PRIMA VOLTA
FISSO’ LA SUA SEDE IN ROMA
La storia di questa festa si perde fra le tenebre delle catacombe, e dopo i recenti studi, ancora oggi non si può dire d’averne rimosso tutte le incertezze ed oscurità. Almeno sino dal iii secolo, si venerava in Roma nella regione cimiteriale tra la Salaria e la Nomentana una memoria – simboleggiata probabilmente da una cattedra lignea o tufacea – del ministero apostolico esercitato in quel luogo da san Pietro. Vi ardevano delle lampade, ed i pellegrini del vi secolo visitando il luogo, erano soliti di riportarne a casa per devozione qualche fiocco di bambagia o di cotone immerso in quell’olio profumato. In seguito, noi ritroviamo la sella gestatoria apostolicae confessionis, come la chiama Ennodio, nel battistero damasiano nel Vaticano, cosicché di papa Siricio, successore di Damaso, è detto:
Fonte sacro magnus meruit sedere sacerdos.
Mentre però in Roma il Natale Petri de Cathedra il 22 febbraio è notato sin dal iv secolo nel Latercolo Filocaliano, le Chiese Gallicane, per non celebrare forse questa festa in quaresima, costumarono d’anticiparla il 18 gennaio. I due usi si svolsero indipendenti e paralleli per più secoli; quindi finalmente, fuori di Roma
finirono per perdere l’unità primitiva di significato, ed invece di
un’unica cattedra di san Pietro, ne risultarono due, una attribuita
a Roma, il 18 gennaio, l’altra altrove, ma poi finalmente ad Antiochia.
Roma medievale dimenticò per qualche tempo il Natale Petri de Cathedra – forse quando questa venne rimossa dalla sua sede primitiva e trasportata in Vaticano; o meglio ancora, quando s’incominciò a celebrare solennemente, con significato quasi affine, il
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Natale Ordinationis del Papa, in occasione del quale affluiva ogni anno a Roma gran numero di Vescovi. – Il fatto sta, che la festa manca affatto nei Sacramentari Romani, e ricomparisce solo alla data tradizionale nei calendari dell’xi secolo e nei tardi Ordines Romani. Urbano VI volle però restituire alla solennità il suo antico splendore, ed ordinò che in tale giorno durante la messa papale al Vaticano uno dei cardinali tenesse un discorso al popolo. Ma lo zelo del fervido Pontefice non ebbe seguito, e fu solo nel 1558 che Paolo IV prescrisse nuovamente la celebrazione della festa della Cathedra S. Petri qua primum Romae sedit il 18 gennaio, giusta le tradizioni gallicane.
La veneranda reliquia della Cattedra di san Pietro, dal battistero dove si trovava nel v secolo, ora è custodita nell’abside della basilica vaticana, di cui costituisce uno dei più splendidi ornamenti. Essa è ridotta a poche assi lignee, ma fin da antico venne foderata con lamine d’avorio istoriate. Il rinascimento non ha tenuto troppo conto del profondo significato dogmatico di quella sede, quando su di essa prendevano realmente posto i Romani Pontefici. L’arte grandiosa del Bernini ha racchiuso quel cimelio in un colossale reliquiario. Ne è seguito, che ora il Papa non può più sedere, come i Pontefici dei primi quindici secoli, nella sua vera ed antica cattedra, su quella che Prudenzio appellava senz’altro: Cathedra Apostolica.
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L’antifona per l’introito è comune alla festa di san Nicola.
Le collette seguenti, con leggere varianti, si trovano già nel così detto Sacramentario Gelasiano per il natale di san Pietro.
Il concetto della podestà delle Chiavi informava tanto l’antica devozione verso gli Apostoli, e in particolare verso san Pietro, che si richiedeva da loro insistentemente negli inni, nelle collette e nei responsorii, la remissione dei peccati.
Preghiera. – «O Dio, che consegnando le chiavi del celeste regno al tuo apostolo Pietro, lo investisti del pontificato; per la sua intercessione ci concedi d’essere prosciolti dai lacci dei nostri peccati».
Giusta la primitiva consuetudine romana, ogni volta che si celebra la memoria di san Pietro, si fa immediatamente seguire la commemorazione di san Paolo e viceversa, giacché, come s’esprime un’antica antifona: quomodo in vita sua dilexerunt se, ita et in morte non sunt separati.
La seguente colletta si trova pure nell’Antifonario Gregoriano: «O Dio, che ammaestrasti la moltitudine delle nazioni per mezzo della predicazione del tuo beato apostolo Paolo; ci concedi di grazia
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che, venerandone la memoria, possiamo altresì sperimentare presso di te l’efficacia del suo patrocinio».
Segue un brano della lettera di san Pietro (I, i, 1-7) alle chiese dell’Asia Minore, all’indomani dell’incendio di Roma e quando già erano state iniziate negli orti vaticani le prime grandi esecuzioni Neroniane contro i Cristiani. L’Apostolo calmo esorta i fedeli a soffrire animosamente la prova del fuoco, giacché così si raffina l’oro della loro fede, in attesa del giorno della parusia quando, invece del
«Divo» Nerone, auriga, incendiario e matricida, comparirà nella sua gloria Cristo Gesù, a dare ai fedeli il frutto delle loro sofferenze ed il premio della speranza.
Il responsorio graduale tolto dal salmo 106, deriva dagli usi gallicani. Oggi lo cita anche il Breviario in un sermone attribuito a sant’Agostino, ma che invece appartiene ad un anonimo vescovo delle Gallie, sicuramente antico: Unde convenienter psalmus qui lectus est dicit: exaltent eum in ecclesia plebis et in cathedra seniorum laudent eum: «Lo celebrino in mezzo all’adunanza del popolo, e quando sono assisi sulle cattedre degli anziani, dicano le sue lodi».
v). «Glorifichino il Signore per le sue misericordie e i suoi portenti in favore dei figli dell’uomo».
Oltre la preghiera privata, Dio si compiace immensamente della preghiera liturgica, che pel suo carattere sociale corrisponde precisamente alla natura dell’uomo, e riflette fedelmente l’anima della Chiesa.
Il verso alleluiatico è il seguente: «Alleluia, alleluia». (Matt. xvi, 18). «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Come il fondamento sorregge tutta la mole dell’edificio, così quella è la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, che si erge sull’autorità e sulla fede di Pietro, sempre vivo e visibile nei suoi successori.
Dopo la Settuagesima, si omette il verso alleluiatico, e invece si canta il seguente tratto, che però non si ritrova in nessun antico Sacramentario, e per la sua stessa struttura accusa un’origine assai tarda. Infatti, invece d’essere desunto, come regolarmente, dal Salterio, che è il Canzoniere per eccellenza della Chiesa, si compone di alcuni versetti del Vangelo di san Matteo, che gli antichi, per
religioso rispetto, riservavano esclusivamente alla lettura del diacono sull’ambone.
Tratto. (Matt. xvi, 18) «v). Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. v). E le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei; e a te darò le chiavi del regno dei cieli. v). Tutto ciò
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che avrai legato sulla terra, sarà altresì legato nei cieli. v). E quanto
avrai prosciolto sulla terra, sarà pure prosciolto nei cieli».
Le porte d’inferno qui stanno per la potenza stessa del principe dei demoni, giacché presso gli antichi Semiti, le assemblee giudiziarie si tenevano spesso alle porte delle città. Le porte dell’Ade, qui sono in contrasto con quelle di cui a Pietro sono rimesse le chiavi. Bisognerà dunque intendere anche in quest’ultimo caso, che le porte del regno dei cieli significhino la potenza e l’autorità gerarchica di cui Pietro è l’immediato depositario, e che egli esercita per divina istituzione su tutta la Chiesa di Cristo.
Questa infatti è la differenza che corre tra l’autorità del Papa e quella degli altri patriarchi, metropoliti, ecc. Che questi abbiano giurisdizione su di altri vescovi, non leggesi nulla nel Vangelo; mentre al contrario sappiamo, che essi in diversi tempi hanno conseguito tali prerogative per autorità conciliare o pontificia. Invece, il santo Vangelo descrive in modo solenne ed esplicito l’autorità universale concessa dal Salvatore a san Pietro. La storia da parte sua dimostra che sin dai tempi più prossimi all’evo apostolico, i Romani Pontefici, senza alcun contrasto da parte della Chiesa, hanno esercitato di fatto tale primato di giurisdizione siccome un ministero loro attribuito dal Cristo colle parole indirizzate a san Pietro; cosicché, anche come corollario storico, si deve escludere un periodo in cui questo primato sarebbe sorto per opera di fattori naturali. No, la storia contiene bensì la documentazione dell’esercizio del primato pontificio, ma la sua istituzione è contenuta nel Vangelo.
Oggi la lezione evangelica è quella dell’istituzione del primato pontificio, concetto che informa pure tutta la messa. Gesù, insieme alle glorie attribuite alla potenza spirituale del papato, annuncia altresì a Pietro le lotte che esso dovrà sostenere attraverso i secoli. Le «porte dell’inferno» non sono semplicemente gli empi; ma simboleggiano gli stessi capi degli spiriti infernali, le potenze e i governi anticristiani, che faranno tutti gli sforzi per distruggere l’edificio divino fondato su Pietro, senza però mai riuscirvi. La storia di quasi venti secoli
di Cristianesimo, è qui annunziata nei pochi versetti del Santo Vangelo (Matt. xvi, 13-19).
Il verso offertoriale, contrariamente alla tradizione classica romana, invece che dal Salterio, è tratto dalla precedente pericope evangelica. Si deve però facilmente perdonare all’artista gregoriano che ha composto la splendida antifonia di questa messa, la piccola libertà che s’è presa. Il concetto dello stabilimento della Chiesa sul
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fondamento di Pietro l’aveva giustamente conquiso tanto, che egli dà libero corso alla foga del suo genio, e nel tratto, nell’offertorio e nel communio riveste le parole di Gesù a Pietro di melodie sempre nuove e sempre eleganti. E’ da por mente alla frase non praevalebunt, la quale nel racconto evangelico dell’istituzione del Primato, mentre per noi rappresenta la storia ecclesiastica lunga oltre diciannove secoli, contiene altresì anche per gli avversari della Chiesa, la profezia dell’avvenire. Né le persecuzioni esterne, né l’insufficienza
e le miserie stesse dei divini ministri, riusciranno mai a svellere la religione di Cristo.
Offert. (Matt. xvi, 18-19): «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, né le potenze dell’inferno prevarranno su di lei, e a te darò le chiavi del regno dei cieli».
La preghiera di preludio all’anafora consacratoria, è la seguente: «L’intercessione del beato apostolo Pietro accompagni, o Signore, le preghiere e le offerte della tua Chiesa; affinché il Sacrificio che a di lui onore celebriamo, valga ad impetrarci pietà. Per il Signore».
Il Sacrificio eucaristico, come osserva sant’Agostino, viene offerto solamente a Dio uno e trino; esso però si celebra in memoria dei Santi, per render grazie alla Triade augusta d’averli tanto esaltati coi meriti e colla gloria. La liturgia esprime questo concetto in una splendida colletta di Quaresima: In tuorum, Domine, pretiosa morte iustorum Sacrificium illud offerimus, de quo martyrium sumpsit omne principium.
La colletta in memoria di san Paolo, è squisitamente elegante: «Per le preghiere del tuo apostolo Paolo santifica, o Signore, l’oblazione del tuo popolo; affinché il Sacrificio che già t’è grato perché tu stesso ne fosti l’institutore, ti riesca ancor più accetto per le preghiere dell’intercessore. Per il Signore».
Il Sacrificio Eucaristico, gradito a Gesù che ne fu l’istitutore e che, quale erede delle promesse Messianiche, primo ne partecipò, oggi riesce ancor più accetto alla Divina Maestà, perché vi si congiungono le preghiere di colui che, dopo i Vangeli, nelle sue epistole fu l’organo della divina rivelazione, al fine di spiegare alle Chiese tutto il mistero di morte e di vita, d’umiliazione e di gloria, che si cela sotto quei candidi veli.
Il prefazio è quello degli Apostoli, originariamente proprio della festa dei santi Pietro e Paolo.
Il verso per la Comunione è identico a quello alleluiatico (Matt. xvi, 18): «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia
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chiesa». Quella dunque sarà legittima Eucaristia, che verrà offerta in comunione col Pontefice di Roma, il cui nome nei paesi latini veniva commemorato nell’anafora insin dai primi secoli. Tacere nella messa il nome del Papa, era per Ennodio di Pavia un offrire, contro l’antica tradizione, un sacrificio monco ed incompiuto: sine ritu catholico et cano more, semiplenas nominatim hostias1.
Dopo la Comunione si recita la seguente colletta: «L’oblazione ora offerta, o Signore, c’infonda letizia; onde, siccome ti predichiamo mirabile verso il tuo apostolo Pietro, così per suo mezzo possiamo conseguire ampio perdono».
Il perdono dei peccati è posto qui in relazione colla letizia santa cristiana, perché è appunto la colpa quella che isterilisce le fonti della gioia nel gaudium sancti Spiritus, di cui discorre l’Apostolo.
Per la commemorazione di san Paolo, si recita quest’altra preghiera: «Santificati, o Signore, dal Mistero della salute, ti preghiamo che non ci venga mai meno l’intercessione di colui, al cui patrocinio tu ci commettesti».
Questa preghiera del Sacramentario Leoniano riguarda anzitutto Roma, giacché essa sola può vantare la gloria d’essere stata affidata al patrocinio speciale dei due Principi degli Apostoli i quali, insieme col tesoro della loro predicazione e del sangue, la istituirono erede delle prerogative del loro Apostolato e del primato su tutte le altre Chiese.
Il Primato Pontificio è la stella polare che dirige la navicella della Chiesa in mezzo all’oceano infido e burrascoso del secolo, Vescovi, patriarchi, nazioni intere, un tempo credenti e gloriose, hanno molte volte miseramente naufragato nella fede; anzi, negli estremi giorni del mondo sono annunciati nelle Scritture molti pseudo-cristi e falsi profeti, che tenteranno di sedurre le moltitudini, operando magari apparenti prodigi, a conferma dei loro errori. Se dunque non possiamo sicuramente affidarci a nessuno, giacché tutti possono errare, nel negozio supremo della nostra eterna salute presso chi mai dobbiamo invocare scampo, se non presso di Pietro? La sua fede, per testimonianza dello stesso Redentore, è indefettibile, e le pecore che Pietro riconosce siccome appartenenti al suo ovile, sono riconosciute ed ammesse per tali anche da Gesù, supremo pastore.
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1 Ennodius Ep. Pap., Lib. Apologet, pro synodo, Patr. Lat. LXVII, col. 197.
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22 Febbraio.
CATTEDRA DI SAN PIETRO
Stazione in Vaticano.
Giusta quanto abbiamo osservato il 18 gennaio, oggi secondo l’antica tradizione Romana mantenuta inalterata sino al secolo xvi, ricorreva la festa della Cattedra Romana di san Pietro, senza che Antiochia v’abbia nulla a vedere. Non si tratta infatti di onorare tutte le diverse e successive residenze dell’Apostolo nelle varie parti del mondo; solo la Cattedra Vaticana assorge a simbolo del primato universale che Pietro e suoi successori da Roma esercitano su tutta la Chiesa; onore questo senza precedenti, e che la Città Eterna rivendica esclusivamente per sé.
L’origine di questa festa, già ricordata in questo giorno nel Feriale Filocaliano del 336: «Natale Petri de Cathedra» è sicuramente romana. Essa tuttavia viene omessa dai Sacramentari Gelasiano e Gregoriano, senza che riusciamo troppo a intravederne il motivo, a meno che non si debba attribuire alla coincidenza che essa cade quasi ordinariamente durante la quaresima. Anche la circostanza che la sedes ubi prius sedit sanctus Petrus nel cimitero maggiore verso il secolo v incontrò una forte concorrenza nella Cattedra lignea Vaticana, contribuì a scemare d’importanza la vetusta sede della via Nomentana. Verso il vii secolo, cagioni che ci sfuggono determinarono inoltre l’autorità ecclesiastica a limitare ed impedire il culto che per mezzo di lampade ed incensi il popolino rendeva ad una cattedra tufacea esistente nel medesimo cimitero maggiore; e fu probabilmente sotto l’impressione di simili disordini, che la Chiesa Romana tentò di radiare dai Sacramentari la festa del 22 febbraio. La tradizione tuttavia fu più forte di qualsiasi editto di proscrizione, giacché nell’Antifonario di san Pietro ritroviamo che la festa della Cattedra di san Pietro era celebrata in Vaticano alla sua data originaria tradizionale, il 22 febbraio.
La messa è identica a quella del 18 gennaio, tranne che non si fa memoria di santa Prisca.
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Ecco il bel carme Damasiano che gli antichi epigrafisti dell’alto medio evo ricopiarono presso la Cattedra Vaticana del Principe degli Apostoli. Essa allora stava nel battistero:
AD FONTES
NON ⋅ HAEC ⋅ HVMANIS ⋅ OPIBVS ⋅ NON ⋅ ARTE ⋅ MAGISTRA
⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅
SED ⋅ PRAESTANTE ⋅ PETRO ⋅ CVI ⋅ TRADITA ⋅ IANVA ⋅ CAELI ⋅ EST
ANTISTES ⋅ CHRISTI ⋅ COMPOSVIT ⋅ DAMASVS
VNA ⋅ PETRI ⋅ SEDES ⋅ VNVM ⋅ VERVMQVE ⋅ LAVACRVM
VINCVLA ⋅ NVLLA ⋅ TENENT ⋅ QVEM ⋅ LIQVOR ⋅ ISTE ⋅ LAVAT
Questo monumento, non col soccorso dell’umana potenza, non dietro i suggerimenti dell’arte,
Ma per intercessione di Pietro, al quale venne affidata la porta del Cielo
Apprestò il Pontefice Damaso.
Unica è la sede di Pietro, unico è il vero battesimo.
Chi si lava in queste onde, è prosciolto da ogni peccato.
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Oggi il Geronimiano contiene questa indicazione: «Romae, via Tiburtina ad Sanctum Laurentium, natale sanctae Concordiae». Gli antichi itinerari romani ne indicano la tomba presso quella del grande Ippolito, di cui gli atti vogliono fosse stata appunto la nutrice.
Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – VI. La Chiesa Trionfante (Le Feste dei Santi durante il ciclo Natalizio), Torino-Roma, Marietti, 1930, pp. 151-158, 244-245.