Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 40
[Camice]
XL. Il secondo sacro indumento è il camice, chiamato altresì alba, camisia, camisius, dai greci poderis, dagl’italiani camice. Nell’Ordine romano si parla del camice: «Lineam dalmaticam, quam dicimus albam» e negli atti proconsolari di s. Cipriano vescovo e martire appresso il Ruinart leggesi: «Et cum se dalmatica expoliasset, et diaconibus tradidisset in linea stetit, et coepit spiculatorem sustinere»: la qual parola linea benché sia intesa dal cardinal Baronio all’anno di Cristo 261 num. 40 che voglia significare il rocchetto più comunemente però vien ispiegata, che voglia significare il camice; sì perché allora non era in uso il rocchetto; sì perché come abbiamo veduto poc’anzi, gli ecclesiastici usavano comunemente il camice come abito usuale: tanto più poi che abito usuale era ancora la dalmatica di cui fu spogliato; essendo stata la dalmatica nel suo principio una certa sorte di vestito ritrovata nella Dalmazia, di cui ancora si servivano i re, scrivendo Lampridio di Comodo che comparve in pubblico vestito colla dalmatica e soggiungendo Giulio Capitolino che l’imperatore Pertinace si fece vedere colla dalmatica; come anche eruditamente afferma lo stesso cardinal Baronio nelle Note al martirologio romano al giorno 31 di maggio. Amalario nel lib. 2 De eccles. offic. parla pure del camice nel modo seguente: «postea camisiam induimus quam albam vocamus». Nel libro pontificale nella Vita di Benedetto III abbiamo che nel tempo del suo pontificato il re de’ sassoni mandò a regalare alla chiesa di s. Pietro «camisias albas sigillatas olosericas cum crisoclavo»: e benché il Casaubono sia di sentimento che fossero camicie per ornare il tempio, il Ferrario però nel lib. 3 De re vestiaria al cap. 5 pienamente comprova ch’era per uso de’ sacerdoti. Nel libro De divinis officiis attribuito ad Alcuino si fa menzione del poderis colle seguenti parole: «poderis quae vulgo alba dicitur»: e l’etimologia del poderis deriva da podas che appresso i greci significa i piedi essendo il camice una veste, che discende fino ai piedi. Ed Ottavio Ferrari nell’Origine della lingua italiana c’insegna, chiamarsi questa veste camice con piccola mutazione della parola camicia. Il camice è di lino, e deve essere tale e non si lana; onde s. Gregorio in Ezechielem al lib. 1 omel. 11 lasciò scritto: «Grossiora quippe vestimenta sunt lanea; sed cum sacerdos ad sacrum ministerium accedit idest cum intus per compunctionem ingreditur, subtiliori intellectu necesse est, quod ipse quasi lineo vestimento vestiatur»; deve il camice essere bianco; per lo che s. Girolamo nel lib. 1 adversus Pelagium disse essere cosa convenientissima all’onore di Dio che «episcopus, presbyter, diaconus et reliquus ordo ecclesiasticus in administratione sacrificiorum cum candida veste procedant». Anticamente nel venerdì santo i sacerdoti si servivano d’un camice di color nero: ed in alcuni camici si veggono intrecciati alcuni lavori di ricamo nelle maniche, nel petto, nelle spalle e nelle falde; e quest’usanza ancor oggi si mantiene in alcune chiese de’ regolari, e nella cappella pontificia, come ben osservano il Magri nella parola alba, ed il Clericato nella cit. decis. 50 num. 25 e seguenti. Due moderni eruditi, cioè il Fleury nell’opera sua De’ costumi degli antichi cristiani, ed il P. Le Brun nel tom. 1 pag. 45 comprovano che il camice era un ornamento assai particolare delle persone laiche di condizione; leggendosi che l’imperatore Aureliano fece ai romani il donativo delle tonache bianche, essendo passato poi il camice ad essere indumento proprio delle funzioni ecclesiastiche: e se prestiamo fede allo stesso Fleury nella Storia ecclesiastica al lib. 20 num. 23 la prima memoria che abbiamo del camice destinato pel servizio dell’altare è nel concilio quarto cartaginese tenuto alla fine del secolo quarto; ed il camice è stato altre volte veste propria anche ne’ ministri inferiori, cioè degli ostiari, dei lettori, degli esorcisti e degli accoliti: e gli accolite de’ PP. domenicani ancor oggi se ne servono; ed il Saussajo nella Panoplia clericale alla part. 1ª lib. 5 cap. 5 § Nec ritus, osserva essere stata sostituita la cotta al camice in questi ministri inferiori, acciocché fossero più spediti nel camminare, e nell’adempiere le altre loro incombenze.
Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 35-37.