1° Novembre. Calende.
Martedì. FESTA DI TUTTI I SANTI, doppio di 1ª classe con Ottava comune.
Hymnus * ómnibus Sanctis ejus : fíliis Israël, pópulo appropinquánti sibi : glória hæc est ómnibus Sanctis ejus.
1° Novembre. Calende.
Martedì. FESTA DI TUTTI I SANTI, doppio di 1ª classe con Ottava comune.
Hymnus * ómnibus Sanctis ejus : fíliis Israël, pópulo appropinquánti sibi : glória hæc est ómnibus Sanctis ejus.
La scorsa estate si sono verificati in Italia casi di abusi liturgici particolarmente eclatanti, al punto da suscitare proteste e scandalo nella parte più sana dell’opinione pubblica, e attirare l’attenzione dei media.
Ci riferiamo alla messa detta in mare, su di un materassino di gomma adattato ad «altare», da un prete ambrosiano in costume da bagno: le immagini sono girate sul web provocando reazioni in tutto il mondo, e per quanto avvenuto finalmente è stata aperta un’inchiesta dall’autorità giudiziaria.
Anche peggio la messa di un prete-ciclista della diocesi di Brescia, che ha avuto il coraggio di celebrare a fantasia, in mudande con sopra la stola arcobaleno, su di uno squallido tavolo, peraltro non così dissimile da quelli che si vedono collocati davanti agli altari maggiori delle chiese, solo che senza tovaglie. Davanti a una – è il caso di dirlo – marea montante di proteste, i vescovi diocesani di entrambi i celebranti li hanno redarguiti pubblicamente.
Inoltre è stata diffusa sul web una immagine che ritrae il rev. Andrea De Foglio – oggi viceparroco alla chiesa di S. Rocco in Avezzano (L’Aquila) dopo aver ricoperto e lasciato diversi incarichi nella diocesi dei Marsi – in sagrestia parato per celebrare, in compagnia di tre chierici o ministranti in camice di terital con zip e di un cane, sembra un border collie, rivestito dello stesso tipo di camice.
Nel 1989 il bollettino di Una Voce pubblicava una nota dal titolo per l’appunto «Cani in chiesa», dedicata alle liturgie per cani e altri animali non umani di un allora discusso parroco romano. Ne riportiamo il testo:
Trattati spesso come cani, i tradizionalisti possono ora invocare a proprio favore l’esempio del parroco della chiesa romana di S. Giovanni dei Fiorentini che ai cani, quelli a quattro zampe (e ai gatti, ai canarini, alle tartarughe, ecc.), ha aperto le porte della chiesa, celebrando per loro almeno una volta all’anno una speciale «Liturgia». L’iniziativa ha suscitato poche critiche e molti consensi.
Le liturgie per cani? Può essere un’idea, equità vuole però che la si applichi anche a quei «cani» dei fedeli tradizionalisti! («Una Voce Notiziario», 90, 1989, p. 13).
Davanti all’immagine del cane in camice, a quelle delle due messe sopra menzionate e di tante altre, qualcuno potrebbe pensare a una «liturgia da cani», più che «per cani». Va detto comunque che i cani a quattro zampe non sono responsabili delle azioni dei propri padroni e dei di loro parroci o viceparroci.
Quanto ai «cani-tradizionalisti», inteso nel senso dei cristiani che chiedono la liturgia romana tradizionale, anche se la situazione non è oggi la stessa del 1989, continuano a esistere, anzi hanno rialzato la testa coloro che non vogliono farli entrare in chiesa.
Cfr. «Una Voce Notiziario», 87-88 ns, 2022-2023, pp. 18-19 link
La nostra cultura è largamente influenzata da un razionalismo illuministico che inesorabilmente ci separa e ci allontana dalla possibilità di comprendere manifestazioni culturali, fondate su presupposti differenti dagli odierni, frutto di una cultura tradizionalmente orientata che pure è parte integrante ed essenziale del nostro essere attuale.
Siamo così divenuti quasi incapaci di scorgere e decifrare il messaggio profondo contenuto e celato, sotto forma di simboli, in tante opere del passato. Tutto ciò è mostrato nel breve ma denso articolo che qui si presenta – ripreso dal Bollettino Ceciliano, 1, gennaio 1977 – in cui C. F. Carli ripercorre le tappe fondamentali che hanno permesso al musicologo M. Schneider di interpretare il significato della decorazione architettonica di alcuni chiostri catalani del XII sec. e, al di là di questa scoperta che pure ha per noi dello stupefacente, di illuminare il rapporto profondo che collegava in armonica unità architettura, musica e parola nell’opera di artisti che, con scienza antica, sapevano letteralmente far parlare e cantare le pietre.
* * *
La musica si svolge nel tempo, l’architettura occupa lo spazio; l’una è affidata all’entità immateriale dell’onda sonora, l’altra è fondata sulla saldezza tangibile e tetragona della pietra; una vive la sua vita effimera e sempre rinnovellata, incapace a sostenere il più esiguo impaccio della materialità, l’altra sfida lo scorrere di secoli e millenni con le vestigia più imponenti e durature che l’uomo imprima nel cammino della sua storia.
Tanti e così marcati elementi di diversità, da far sospettare tra musica e architettura divorzio e lontananza irrevocabili, eppure, pur che di tali aporie si sappia superare il primo impatto superficiale, – come venne indagato e messo in luce fin da una remota antichità – tali da non escludere analogie e relazioni oltremodo significative, riassunte nella celeberrima espressione del teorico del neoclassicismo, Johann Joachim Winckelmann, che scorgeva nell’architettura, e più esattamente nell’architettura greca, della «musica pietrificata» o «congelata».
C’è innanzitutto un comune supporto numerico, una comune matematica capacità ordinatrice che non sfuggì certo ai Pitagorici che, tuttavia, non ci trasmisero la chiave di decifrazione del segreto; c’è soprattutto il comune denominatore comune dell’afiguratività che sottrae entrambe le arti al rischio della figurazione naturalistica che soffoca nel sostanziale materialismo della rappresentazione veristica la pregnanza metafisica del simbolo1.
E viene spontaneo ricordare come, agli inizi del secolo, quando i padri dell’astrattismo, Wassili Kandinsky, Malevic, Mondrian, si impegnarono nel proposito, condotto con indubbia sincerità e coraggio che non escludevano certamente incompletezza ed incoerenza, di liberare il panorama artistico dell’eredità paralizzante del naturalismo ottocentesco – ed erano quei pionieri non soltanto remotissimi dalle facili truffe degli innumerevoli epigoni, ma davvero ispirati da un anelito religioso alla purezza, come ha dimostrato Carlo Belli in quel suo precorritore ed ancor oggi fondamentale saggio «Kn» – essi non si stancavano di chiamare in soccorso dei loro tentativi rivoluzionari e «scandalosi» la comune natura della musica e dell’architettura, quale prova e testimonianza di un’espressione artistica capace di mantenersi indipendente dal panorama fenomenico ma che invece attingesse alla realtà interiore. Come anche è tutt’altro che un caso che quei pittori trovassero una prima comprensione e difesa presso i giovani architetti e musicisti, anch’essi volti alla ricerca nel nuovo di un’antica purezza.
Le analogie e le relazioni proseguono.
«Ricerche matematiche hanno dimostrato che gli intervalli della gamma dorica trovano un corrispettivo nelle facciate di certi templi antichi. La scuola di Pitagora stabiliva rapporti diretti fra le proporzioni spaziali 2:1, 3:2, 4:3 ecc. e l’ottava, la quinta, la quarta»2.
A Marius Schneider fa eco Attilio Mordini: « … tutte le arti partecipano all’architettura anche quale unificazione dell’utile con il bello. All’architettura della Cattedrale o del tempio tutte le arti meccaniche e liberali partecipano appieno … , la musica non solo per le leggi acustiche alle quali il tempio deve ottemperare, bensì anche per il ritmo stesso delle masse e delle modulazioni.. Per quanto concerne l’ispirazione, i miti tradizionali uniscono l’architettura e la musica in una vera e propria affinità di origini sacre… Al suono della lira vennero edificate, sempre secondo la Tradizione classica, le mura di Tebe per opera di Anfione discendente di Giove, e a lui si ispirano gli aedi greci e gli aediles dell’antica Roma. L’ordinarsi delle corde e delle pietre all’armonia dello strumento e dell’edificio è figura della restaurazione interiore del Jus operante nell’edificazione e nella fondazione della città … »3.
Inoltre lo Schneider ha dimostrato, con ampio ricorso al patrimonio mitico tradizionale occidentale ed orientale e persino alle cosmogonie africane, come la musica e la pietra costituiscano una coppia simbolica4.
Ed è stato sempre lo Schneider, con la fortunata indagine su alcuni chiostri romanici catalani5, a porre il crisma culminante e, si vuoi dire, fuori da ogni retorica, emozionante, al quadro delle relazioni tra musica e architettura.
Esaminando le figure animalesche scolpite sui capitelli dei chiostri, entrambi benedettini ed entrambi risalenti al XII secolo, di San Cugat (un piccolo centro vicino Barcellona) e di Gerona, lo studioso fu subito colpito dalla non casualità di tali immagini: «posto di volta in volta occupato da ogni singolo capitello nella successione delle colonne dei chiostri benedettini qui esaminati non è mai casuale, ma è sempre determinato da un ritmo globale musicale o ideologico. Né «fantasia sfrenata» né «arbitrio artistico» disposero a piacere nello spazio teste e figure di santi, animali ed esseri fantastici, ornamentazione vegetale e scene mitologiche o bibliche, ma una severa e consapevole volontà ordinatrice suddivise ingegnosamente le superfici secondo un piano ben congegnato … Con quale diritto sarebbe lecito supporre che nel convento benedettino, dove la vita ad ogni ora del giorno e della notte era subordinata ad una ben precisa simbologia rituale (elaborata in ogni minimo particolare), sorgesse all’improvviso un chiostro che il costruttore avrebbe progettato senza pensare «assolutamente a niente» o lasciandosi guidare da motivi puramente decorativi o formalistici?»6.
Servendosi delle rispondenze tra note musicali ed animali offerte dalla tradizione indiana ed applicandole a quei chiostri spagnoli, e basandosi, in tale operazione, non soltanto sui risultati ormai saldamente acquisiti dei rapporti tra l’arte indiana e quella europea medievale, ma anche sulle analoghe corrispondenze che il celebre gesuita Atanasio Kircher aveva raccolto nella sua «Musurgia universalis» da fonti inequivocabilmente occidentali quali Proclo ed Edipo Egizio, l’illustre etnomusicologo tedesco poté giungere ad un risultato sorprendente: ecco, i capitelli si rivelavano coperti di suoni rituali, divenivano pietre sonore, si facevano, insomma, essi stessi – certamente a chi ne avesse trovato la chiave del segreto architettonico udibili.
Ora, «che l’idea di riprodurre plasticamente fenomeni musicali esistesse anche nel Medioevo europeo, è dimostrato dalla rappresentazione delle tonalità sui capitelli di Cluny. Qui tuttavia le figure umane, i danzatori e gli strumentisti che servivano da simboli musicali, furono espressamente dotate di scritte che ne indicavano di volta in volta la tonalità»7.
La quale è già una notizia non poco sorprendente per la mentalità estetica moderna che ci ha abituati ad un’arte che ha escluso il suono al punto che oggi riesce difficile pensare, nota lo Schneider, recando un esempio suggestivo, che i doccioni gotici assumevano pienamente la loro vita solo quando scrosciava la pioggia e i mostri di pietra barrivano, ululavano, cantavano insomma, sputando quell’acqua di vita: non c’è dubbio: per riacquistare interamente, immediatamente il senso di questi significati sarebbe necessario reintegrare la capacità simultanea, e un tempo istintiva, di udito e di vista che gli antichi cinesi chiamavano «hic degli orecchi».
Ma a San Cugat e a Gerona la sorpresa si spinge oltre Cluny, qui: «gli animali non sono una nota musicale, essi rappresentano una materializzazione del suono. L’immagine dell’animale non è un segno del suono, ma un equivalente materiale della nota»8.
La trasposizione tonale dei simboli animaleschi (Leone = fa, aquila = do, pavone= re, etc.; ma senza alcun automatismo meccanico cosicché il leone stanco o sconfitto non emetterà più il fa, nota di vittoria e di affermazione, ma il mi, suono inferiore di un intervallo di semitono, nota di mitezza e di pietà), fornisce la medodia dell’inno a San Cacufane, il santo a cui è dedicata la chiesa di San Cugat, secondo l’Antifonario Romano, e la cattedrale di Gerona, dedicata alla Madre di Dio, restituisce l’inno alla «Mater Dolorosa» (Festa septembris 15).
Figura dopo figura, capitello dopo capitello, il giro del chiostro corrisponde allo svolgersi dell’inno sacro: la melodia è ridotta in pietra e la pietra può sciogliersi nel canto che vi è stato imprigionato.
Il quale non è soltanto un criterio metodologico rivoluzionario per accostarsi all’architettura medievale e neppure soltanto «la prova sperimentale della presenza di scienze sacre simboliche universali nel Medioevo cristiano»9, ma una lezione ed un invito di profondissimo significato, che «tutto, scultura, architettura, musica, mirava a un solo fine: che l’uomo armonizzasse con il cosmo»10 e con la sua Volontà ordinatrice: tensione all’armonia cosmica che, come ci insegnano i mistici e i santi, è continua e sublime preghiera.
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1 Si vedano i volumi di Paul Evdokìmov, La conoscenza di Dio secondo la tradizione orientale, ed. Paoline, 1969, pagg. 131 e segg., e La teologia della bellezza, ed. Paoline, 1971.
2 Marius Schneider, «La coppia simbolica musica e pietra», in Conoscenza Religiosa, 1971, n. 3, pag. 201.
3 Attilio Mordini, Verità del linguaggio, ed. Volpe, 1974, pagg. 232-233.
4 Marius Schneider, cit.
5 Marius Schneider, Pietre che cantano. Studi sul ritmo di tre chiostri catalani di stile romanico, ed. Arché, 1976.
6 Marius Schneider, op. cit., pag. 2.
7 Marius Schneider, op. cit., pag. 18.
8 Marius Schneider, op. cit., pag. 31.
9 Elémire Zolla, introduzione a Marius Schneider Il significato della musica, ed. Rusconi, 1970, pag. 13.
10 Elémire Zolla, «Ascoltare la musica scolpita nella pietra», in Il Corriere della Sera, 23-8-1976.
Cfr. «Una Voce Notiziario», 40-41, 1977, pp. 12-14.
Sulle melodie liturgiche nei chiostri di San Cugat e di Gerona vedi ora DIAKOSMESIS
Vi scongiuriamo, o Dio onnipotente; comandate, che queste cose sieno portate dal vostr’Angelo Santo al vostr’Altare sublime; affinchè noi tutti, che riceveremo col partecipare di quest’Altare il Sagro Corpo, e ‘l Sangue del vostro Figliuolo siamo riempiti di tutte le grazie, e di tutta la benedizione spirituale per mezzo del medesimo Gesù Cristo Nostro Signore. [Supplices te rogamus, omnipotens Deus: jube hæc perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectu divinæ majestatis tuæ: ut quotquot ex hac altaris participatione sacrosanctum Filii tui Corpus et Sanguinem sumpserimus, omni benedictione cælesti et gratia repleamur. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen. (Canon Missae)].
…
Ma per capire il fondo di questa orazione, e levare ogni difficoltà, che vi si volesse trovare, bisogna ricordarsi sempre, che queste cose, delle quali vi si parla, sono in verità ‘l Corpo, e il Sangue di Gesù Cristo, ma sono questo Corpo, e questo Sangue con noi tutti, e co’ nostri voti, e colle nostre orazioni; e tutto questo insieme compone una stessa oblazione, che noi vogliamo rendere di tutto punto a Dio grata, e dalla parte di Gesù Cristo, che vien’offerto, e dalla parte di quelli, che l’offeriscono, e si offeriscono similmente con esso. A questo fine potevasi far meglio, che dimandare di nuovo la compagnia dell’Angelo Santo, che presiede all’Orazione, ed in esso di tutti i Santi compagni della sua beatitudine, affinchè il nostro presente giunga più presto, e più grato sino all’Altare celeste, quando in questa beata Compagnia sarà presentato? Non sarà qui cosa inutile l’osservare, che dove il nostro Canone non parla, che d’un solo Angelo, parlasi nell’Ambrogiano di tutti gli Angeli per ispiegare la Santa Unione di quei beati spiriti, ch’in fatti fanno tutti per consenso ciò ch’uno d’essi fa per esercizio, e per essere destinato particolarmente.
Cfr. J.-B. Bossuet, Spiegazione d’alcune difficoltà sopra le Orazioni della Messa ad un nuovo Cattolico di Monsignor Jacopo-Benigno Bossuet … Tradotta dalla lingua Francese all’Italiana …, Venezia, per Luigi Pavino, 1714, pp. 138-140; è stata mantenuta l’ortografia originale; apparso in «Una Voce Notiziario», 51-53 ns, 2013-2014, p. 16.
Tibi mille densa míllium
Ducum coróna mílitat;
Sed éxplicat victor crucem,
Míchaël salútis sígnifer.
Die 29 Septembris. Tertio Calendas Octobres.
Albus. Feria Quinta. In Dedicatione S. Michaëlis Archangeli, duplex primae classis.
MISSA propria, Gloria, Credo, Praefatio communis, Evangeloium S. Joannis in fine.
In monte Gargáno venerábilis memória beáti Michaëlis Archángeli, quando ipsíus nómine ibi consecráta fuit Ecclésia, vili quidem facta schémate, sed cælésti præstans virtúte.
NOVE INVOCAZIONI 1. O Beato Michele, Preposto del Paradiso, la cui voce levò nei Cieli la prima lode di Dio, insegnateci la vera orazione, che è lode perenne della gloria di Dio. 2. O Beato Michele, Messaggero della Santissima Trinità, insegnateci a seguirne con prontezza e abbandono le adorabili ispirazioni. 3. O Beato Michele, Principe delle Milizie Celesti, che nel presagio della Incarnazione apriste la lunga battaglia tra il Cielo e l’Inferno, insegnateci a condurre sulla terra quella stessa battaglia, per i meriti di Colui che s’incarnò per noi. 4. O Beato Michele, latore al sublime altare del Padre della Divina Vittima dei nostri altari, insegnateci l’adorazione perfetta della Santissima Eucaristia. 5. O Beato Michele, Cavaliere della Santissima Vergine, insegnateci a portare sempre in cuore il nome e l’immagine della vostra Celeste Signora. 6. O Beato Michele, Patrono della Chiesa Cattolica, insegnateci a professarne con assoluta purezza l’irreformabile dottrina. 7. O Beato Michele, Diacono delle Liturgie Celesti, insegnateci a custodire e tramandare con fedelissimo amore le nostre sante liturgie terrestri, che ne sono lo specchio e la figura. 8. O Beato Michele, Custode delle anime dei Giusti, otteneteci dal Signore di addormentarci nel segno della fede confessata dai nostri padri e di essere suffragati con i riti della nostra mirabile tradizione. 9. O Beato Michele, Corifeo dei Nove Cori Angelici, consentiteci di unire sino da questa vita il nostro gaudio al loro gaudio senza fine, dicendo ad una voce: Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth, pleni sunt cæli et terra majestatis gloriæ tuæ, hosanna in excelsis. |
La Sezione udinese dell’associazione Una Voce Italia ha comunicato che a far data dal 25 settembre 2022, su concessione dell’eccellentissimo arcivescovo metropolita di Udine mons. Andrea Bruno Mazzocato, le sante Messe in lingua latina secondo il rito romano antico saranno celebrate nella chiesa di S. Bernardino da Siena in via Ellero, la seconda e quarta domenica del mese alle 11.
Appare significativo come a 500 anni dalla posa della prima pietra, da parte del patriarca di Aquileia card. Marino Grimani, sia riaperta al culto cattolico una chiesa per tanti anni centro di spiritualità. A S. Bernardino, fino agli anni Settanta, i seminaristi dell’arcidiocesi ricevevano gli ordini minori.
Non ci sarà più la Messa tridentina alla chiesa di S. Spirito.
Per informazioni: unavoceudine@outlook.it
[Sed si altare haberet plures gradus, ita ut faldistorium in pavimento positum remaneret nimis depressum, posset ei supponi aliquod suggestum seu tabulatum æqualis altitudinis a terra cum infimo gradu altaris, si super eo sessurus sit proprius Episcopus celebrans, qui tamen regulariter non in faldistorio, sed in propria episcopali sede stare et sedere debet. Ipsum vero altare majus in festivitatibus solemnioribus, aut Episcopo celebraturo, quo splendidius poterit, pro temporum tamen varietate et exigentia, ornabitur: quod si a pariete disjunctum et separatum sit, apponentur, tam a parte anteriori quam posteriori illius, pallia aurea, vel argentea, aut serica, auro perpulchre contexta, coloris festivitati congruentis, eaque sectis quadratisque lignis munita, quæ telaria vocant, ne rugosa aut sinuosa, sed extensa et explicata decentius conspiciantur. Tum in superna linea mappæ mundæ tres saltem explicentur, quæ totam altaris planitiem et latera contegant. Nullæ tamen coronides ligneæ circa altaris angulos ducantur, sed earum loco apponi poterunt fasciæ, ex auro vel serico elaboratæ, ac variegatæ, quibus ipsa altaris facies apte redimita, ornatiorque appareat. Supra vero in planitie altaris adsint candelabra sex argentea, si haberi possunt; sin minus ex aurichalco, aut cupro aurato nobilius fabricata, et aliquanto altiora, spectabilioraque his, quæ cæteris diebus non festivis apponi solent, et super illis cerei albi, in quorum medio locabitur crux ex eodem metallo, et opere præalta, ita ut pes crucis æquet altitudinem vicinorum candelabrorum, et crux ipsa tota candelabris superemineat cum imagine Sanctissimi Crucifixi, versa ad interiorem altaris faciem. Ipsa candelabra non sint omnino inter se æqualia, sed paulatim, quasi per gradus ab utroque altaris latere surgentia, ita ut ex eis altiora sint immediate hinc inde a lateribus crucis posita. (Caeremoniale Episcoporum, 1, 12, 11)]
11. Pourtant si l’autel avait un nombre de marches tel qui fit paraître trop bas le faldistoire posé sur le pavement, et si le célébrant était l’évêque diocésain, on pourrait placer sous le faldistoire une petite estrade égale en hauteur à la plus basse marche de l’autel.
Le grand autel sera orné en proportion des fêtes, et selon l’exigence du temps liturgique. On y met un parement d’étoffe de la couleur des ornements, décoré d’or, ou d’argent, ou de soies nuancées. Les parements sont cloués sur des cadres de bois pour qu’ils restent bien tendus (et de maniement plus facile). Des moulures de bois (ou de métal) ne doivent pas encadrer les angles de l’autel, ni les parements. Ces derniers sont garnis en haut d’une bande horizontale plus ornée, qui semble superposée au parement. Si l’autel se trouve isolé entre le chœur et la nef, on y met deux parements, un sur chaque face.
Le parement, posé sur la plate-forme de l’autel et sur son tapis, y est protégé par une moulure mobile, en bois ou en métal, de même longueur, posée contre lui. Il est maintenu debout par deux attaches qui partent des deux montants verticaux et se fixent à la paroi de l’autel, sous la nappe tombant de chaque côté. Dans les
cérémonies où il y a changement de couleur, on met deux parements, celui de la première couleur par-dessus l’autre; ensuite on l’enlève quand il faut découvrir le second.
Le parement forme le complément principal de l’autel; il est d’effet inimitable, irremplaçable. On souffre en voyant que les anglicans le comprennent mieux que nous. Le parement n’est pas une simple décoration de l’autel, mais bien un habillement dû à l’autel. Ce droit à l’habillement est promulgué, expliqué par le
Pontifical, vers la fin de la consécration de l’autel, et dans la deuxième monition que fait l’évêque en ordonnant les sous-diacres. Si, de toute antiquité, le siège épiscopal doit être vêtu, à plus forte raison, dans la liturgie actuelle, l’autel ne doit pas se trouver dépouillé. Entre deux défauts, celui d’un parement n’ayant pas la couleur voulue, et celui du manque de parement, le Missel donne la préférence au premier. Si l’on dépouille l’autel pour le Vendredi saint, cela veut dire qu’il doit être vêtu les autres jours. Pour couvrir l’autel en superficie et sur ses deux faces latérales on n’a rien que les nappes; pour couvrir sa face antérieure, ou les deux faces visibles, on n’a rien que les parements. L’un ne [117|118] remplace pas l’autre. Un autel avec nappe, sans parement, est à moitié vêtu, demi-nu. Si sa face antérieure (ou les deux faces visibles) reste découverte, pourquoi le couvre-t-on sur ses côtés? Quand, pendant la messe, la table de l’autel porte cinq toiles: toile cirée ou chrémeau, plus trois nappes (on n’a jamais bien su pourquoi), plus corporal; et même six toiles à la messe papale, avec la nappe supplémentaire dite Incarnatus; croit-on alors raisonnable de ne pas couvrir la façade qui se voit le mieux? Entre autres preuves, les inventaires montrent que le parement était d’usage presque universel jusque vers la fin du XVIIIe siècle. Maintenant il trouve son refuge dans les musées, et aux enterrements qui payent bien. Laisser périr de consomption les rares qui existent, ne point en faire de neufs, passe pour très normal. Les soi-disant restaurateurs de la liturgie se gardent bien d’en parler.
Sur l’autel on étend trois nappes, qui couvrent toute la table et les deux faces latérales.
Les éditions anciennes du C. E. [Cæremoniale Episcoporum] portaient supernæ lineæ mappæ; ce qu’on traduisait par: surnappes de lin; les éditions modernes donnent in superna linea mappæ; ce qui n’a pas de sens dans la phrase.
Sur la table de l’autel on place six chandeliers d’argent si possible, autrement de cuivre doré ou argenté; ils seront plus remarquables aux fêtes qu’aux jours ordinaires: on y met des cierges de cire blanche. Au milieu des chandeliers va la croix, de mêmes métal et travail; sa dimension est telle que son pied égale la hauteur des plus hauts chandeliers, et que toute la croix les dépasse, avec le crucifix tourné en face du célébrant. Que les chandeliers ne soient pas tous égaux; mais que, par paire, ils s’élèvent graduellement de chaque côté de l’autel, les deux plus hauts ayant la croix entre eux.
Le C. E. suppose que l’autel n’a pas de gradin. Pour la croix et les chandeliers la gradation du métal comprend or, argent, cuivre, bronze. Ce dernier convient au Vendredi saint et aux offices funèbres.
Cfr. L. Gromier, Commentaire au Caeremoniale Episcoporum, Paris, La Colombe, 1959, pp. 117-118.
Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum (CISP) – di cui Una Voce Italia è membro fondatore -, organizza dal 28 al 30 ottobre 2022 nell’Urbe l’XI Pellegrinaggio ad Petri Sedem con il seguente programma:
Venerdì 28 ottobre 2022 alle 17:30 alla basilica di S. Maria della Rotonda (Pantheon) vespri pontificali officiati dall’em.mo signor cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo metropolita di Bologna, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, per le cure dell’Istituto del Buon Pastore.
Sabato 29 ottobre 2022 alle 9:30 alla basilica dei SS. Celso e Giuliano (Via Banco di Santo Spirito 5) adorazione eucaristica per le cure dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote; alle 10:30 dalla basilica di S. Celso partenza della processione verso la basilica di S. Pietro in Vaticano; alle 11:30 all’altare della Cattedra di S. Pietro Messa solenne celebrata dal rev.mo mons. Marco Agostini, cerimoniere pontificio.
Domenica 30 ottobre 2022 alle 11 alla parrocchia della Ss.ma Trinità dei Pellegrini (piazza omonima) Messa solenne celebrata dal rev.mo mons. Patrick Descourtieux, officiale del Dicastero (già Congregazione) per la Dottrina della Fede, curata dalla Fraternità Sacerdotale San Pietro.
Prima dell’inizio del pellegrinaggio, la mattina del 28 ottobre a Roma presso l’Istituto Patristico Augustinianum, situato di fronte al Sant’Uffizio (Via Paolo VI, 25), l’associazione Oremus – Paix Liturgique ha organizzato l’Incontro Pax Liturgica. L’incontro avrà inizio alle 9:45 con un indirizzo di benvenuto da parte del reverendo Claude Barthe, assistente ecclesiastico del CISP; alle 10 presenterà l’incontro il prof. Rubén Peretó Rivas; relazioni del mattino: alle 10:15 Trinidad Dufourq, «La liturgia tradizionale e il pellegrinaggio di Nostra Signora della Cristianità nel mondo ispanico», alle 11 rev. prof. Nicola Bux, «Dalla Mediator Dei al Summorum Pontificum: rimedi al crollo di una liturgia celebrata come se Dio non c’è», alle 12 dott. Aldo Maria Valli, «La Messa tradizionale: il tesoro ritrovato»; alle 13 sarà imbandito un buffet; relazioni del pomeriggio: 14:30 prof. Peter Kwasnievski, «Una Chiesa tra legalismo e disordine: trovare principi di azione in un tempo di anarchia», 15:30: Christian Marquant, «In conclusione, qual è il futuro del mondo tradizionale dopo la Traditionis custodes?»; alle 16 terminati i lavori trasferimento degli intervenuti a S. Maria della Rotonda (Pantheon) per la funzione di apertura del Pellegrinaggio ad Petri Sedem.
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CINGOLO. – Dall’uso profano di una cintura per tenere fissa intorno ai fianchi la tunica, è sorto l’indumento sacro in forma di cordone, con due fiocchi alle estremità, che serve a stringere il camice. I primi accenni al c si hanno in una lettera di papa Celestino nel 430 ai vescovi di Narbona e Vienna nelle Gallie. Poi i monaci, memori della parola del Signore: «siano cinti i vostri lombi», ritennero incompatibile per il loro stato la tunica discinta, e concorsero così a generalizzare l’uso del c.
Dalla semplice cinta di cuoio o di corda dei monaci, si passò nella liturgia alla fascia di seta riccamente ornata, con pietre preziose e borchie d’oro, specialmente durante il medioevo. Poi si tornò alla semplicità primitiva, ed eliminata la fascia si riprese il cordone. La Chiesa non ha determinato né la forma né il colore del c.; se ne possono quindi fare di seta, lino, lana, cotone; il loro colore può essere sempre bianco oppure simile a quello dei paramenti. Vario ne è il significato simbolico secondo gli autori, ma quasi tutti convengono nel ritenerlo il simbolo della castità, come indica la preghiera liturgica che il sacerdote deve recitare quando lo cinge.
Bibl.: J. Braun, Die liturgische Gewandung im Occident und Orient, Friburgo in Br. 1907, pp. 102-15; id., I paramenti sacri, vers. it., Torino 1924, pp. 77-84. Enrico Dante
Cfr. Enciclopedia Cattolica, III, Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e il Libro Cattolico, 1949, col. 1678 (riprodotto in «Una Voce Notiziario», 58-61 ns, 2015-2016, p. 10 vd.).
Sabato 17 settembre 2022 si svolgerà ad Aquileia il VI pellegrinaggio «Alle sorgenti della nostra fede di tradizione marciana», organizzato dalla Compagnia di Sant’Antonio in collaborazione con la Sezione di Pordenone di Una Voce Italia, la Società Internazionale Tommaso d’Aquino, sezione Friuli-Venezia Giulia, il Circolo Culturale Cornelio Fabro di Udine. Si tratta di un appuntamento ormai consolidato che coinvolge cristiani provenienti dalle diocesi del Friuli-Venezia Giulia, del Veneto e dalla Baviera, Carinzia, Slovenia e Croazia.
Il programma prevede l’inizio del pellegrinaggio a piedi alle 9 circa, a partire dalla chiesa di S. Marco a Belvedere verso Aquileia (per il trasporto dei pellegrini sul posto sarà a disposizione un pulmino che partirà alle 8:30 dall’Hotel I Patriarchi ad Aquileia); alle 11 nella chiesa di Monastero vi sarà la Messa in rito romano antico, elemento centrale e vertice dell’intera giornata; dopo la funzione alle 12:30 processione lungo la Via Sacra verso la Basilica di S. Maria Assunta (la Basilica di Aquileia) con rinnovo delle promesse battesimali e venerazione dei Martiri aquileiesi; alle 13:30 sarà imbandito un pranzo presso l’Hotel I Patriarchi (prenotazione entro giovedì 15 settembre alla email compagniasantantonio@libero.it oppure tel. 3473961396). Nel pomeriggio si terranno due meditazioni presso la Sala Romana (Piazza Capitolo, 7).
Ad Aquileia, secondo la tradizione, il Vangelo di Gesù Cristo fu dapprima annunciato da san Marco Evangelista che sbarcò a Belvedere ove è la chiesa a lui dedicata per raggiungere Aquileia inviato da san Pietro. Nei secoli successivi da Aquileia si irradiò l’evangelizzazione delle regioni limitrofe. Per questo la Compagnia di S. Antonio desidera ricordare e onorare i nostri Padri nella fede, coloro che hanno seminato la parola del Vangelo e piantato la fede in Gesù Cristo nei territori di Aquileia. Ritornare quindi alle sorgenti della fede di tradizione marciana per confermarla e rafforzarla con l’aiuto della preghiera, dei sacramenti, delle penitenze, e per chiedere al Signore il perdono delle colpe e il dono della conversione del cuore.